L’UNITÀ DELL’EURASIA NELLA PROSPETTIVA DI FRIEDRICH NIETZSCHE

L’UNITÀ DELL’EURASIA NELLA PROSPETTIVA DI FRIEDRICH NIETZSCHE

“Noi, buoni Europei”

Di fronte ad un’Europa che ha santificato il “principio delle nazionalità”, per cui la stessa Germania identifica il Reich – l’Impero – con lo Stato tedesco, Nietzsche si riconferma ancora una volta come il grande Inattuale. Infatti, se da un lato egli respinge come fenomeno didécadence le astrazioni mondialiste, dall’altro vede nel piccolo nazionalismo, “questa névrose nationale, di cui l’Europa è malata”, la manifestazione di una “piccolapolitica” che rischia di “mantenere in eterno la divisione d’Europa in stati minuscoli”1. Alla “piccola politica” nazionale Nietzsche oppone una “grande politica”, la politica europea: “Noi siamo, in una parola – e deve essere, questa, la nostra parola d’onore! – buoni Europei, gli eredi dell’Europa, i ricchi, stracolmi, ma anche negli obblighi, smisuratamente ricchi eredi d’un millenario spirito europeo”2.

Questo spirito, lo spirito dell’Europa una, si è espresso nell’azione e nell’arte degli uomini più grandi del secolo, da Napoleone e Goethe fino a Wagner: “la vera direzione complessiva, nel misterioso lavoro della loro anima, fu quella di preparare la strada a questa nuova sintesi e di anticipare sperimentalmente l’Europeo dell’avvenire”3. Attraverso di loro, ha parlato “la volontà che l’Europa ha di unificarsi4.

Nonostante il “morboso estraneamento che l’insania nazionalista ha interposto e tuttora continua a interporre tra i popoli europei”5 e nonostante la miopia dei politici, l’unità europea è, secondo Nietzsche, un destino ineluttabile. Egli prevede che a realizzarlo saranno, oltre alla cultura, le necessità dell’economia e del commercio: “Il commercio e l’industria, lo scambio di libri e di lettere, la comunanza di tutta la cultura superiore, il rapido mutar di luogo e di paese, l’odierna vita nomade di tutti coloro che non posseggono terra – queste circostanze portano necessariamente con sé un indebolimento e alla fine una distruzione delle nazioni, per lo meno di quelle europee; sicché da esse tutte, in seguito ai continui incroci, dovrà nascere una razza mista, quella dell’uomo europeo”6.

Tuttavia l’Europa, che pure “vorrebbe rappresentare a tutti i costi, rispetto all’Asia, il ‘progresso degli uomini’”, in fondo non è se non una “penisoletta avanzata” dell’Asia7. Tra Europa ed Asia infatti non esiste soluzione di continuità: a saldarle è la Russia, l’”immenso impero intermedio”8.  Nietzsche, che non nasconde la propria ammirazione per certi aspetti del “genio slavo”, da una parte evoca la possibilità di un’alleanza russo-tedesca, dall’altra auspica che la Russia diventi sempre più minacciosa e costringa l’Europa a farla finita con la “piccola politica”; così l’Europa potrà acquisire “una volontà unica (…) in grado di proporsi mete al di là dei millenni – affinché finalmente la commedia, protrattasi anche troppo, della sua congerie di staterelli nonché la molteplicità dei suoi velleitarismi dinastici e democratici giunga infine a un epilogo”9.

La complementarità dell’Europa e dell’Asia è affermata da Nietzsche fin dall’epoca della Nascita della tragedia. Il rapporto tra Apollo e Dioniso, tra poesia e musica, tra coscienza e istinto, è visto da lui anche come un rapporto tra l’Europa e l’Asia, poiché “i cori bacchici dei greci (…) hanno la loro preistoria nell’Asia Minore, su su fino a Babilonia e alle feste orgiastiche sacee”10, sicché la tragedia, nella quale trovano la loro sintesi queste opposte polarità, potrà risvegliarsi solo se gli Europei si incoroneranno d’edera, afferreranno il tirso e accompagneranno “il festoso corteo dionisiaco dall’India alla Grecia”11.

 

 

Nietzsche e la civiltà indù

Quando Nietzsche, nel 1881, appone in epigrafe ad Aurora un verso del Rigveda (“Vi sono tante aurore che ancora devono risplendere”), la civiltà indiana è da tempo oggetto del suo interesse: già nel periodo compreso fra il 1875 e il 1878 egli ha preso in prestito dalla biblioteca dell’Università di Basilea il libro dell’indianista Martin Haug (1827-1876) su Brahma e i brahmani. In Aurora, dopo aver abbozzato un breve paragone tra “Brahmanesimo e cristianesimo12, propone l’India a modello dell’Europa: “Per quanto possa essere progredita, l’Europa non ha ancora raggiunto nelle questioni religiose la liberale ingenuità degli antichi brahmani (…) quanto è ancor lontana l’Europa da questo grado di civiltà! (…) cerchiamo piuttosto, per prima cosa, di fare in modo che l’Europa ripeta ciò che in India, tra il popolo dei pensatori, già alcuni millenni or sono fu realizzato come imperativo del pensiero”13. Sempre in Auroraviene fatto cenno alla storia del re Viçvamitra, sulla quale nel 1887 ritornerà la dissertazione diGenealogia della morale dedicata agli ideali ascetici, quella stessa in cui Nietzsche indica con orgoglio una sua autorevole fonte: “il primo vero conoscitore della filosofia indiana in Europa, il [suo] amico Paul Deussen”14, che in quello stesso anno, il 1887, pubblica Die Sûtras des Vedânta.

In particolare, si sa dei giudizi entusiasti espressi da Nietzsche per le Leggi di Manu, a lui probabilmente note dalla versione del Mânavadharmaśâstra che, eseguita da Sir William Jones, fu tradotta in tedesco e pubblicata a Weimar nel 1797. Nel Codice di Manu, leggiamo nel Crepuscolo degli idoli, “è stabilito il compito di allevare tutte insieme non meno di quattro razze: una sacerdotale, una guerriera, una di mercanti e di contadini, infine una razza di servi, i Sudra. Evidentemente non siamo più qui tra domatori di animali: un tipo umano cento volte più mite e più razionale è il presupposto per concepire a. Quanto ènche soltanto il progetto di un simile allevamento. Si tira un sospiro nell’uscire dall’atmosfera infetta e carceraria del cristianesimo per entrare in questo mondo più sano, più elevato, più vasto. Quanto è miserabile il ‘Nuovo Testamento’ a confronto con Manu, che cattivo odore è il suo! – Ma anche per questa organizzazione fu necessario essere terribili – non già, questa volta, nella lotta con la bestia, bensì con il suo concetto antitetico, l’uomo-non-da-allevamento, l’uomo ibrido, il Ciandala. E a sua volta tale organizzazione non aveva alcun altro mezzo per renderlo innocuo e indebolirlo, salvo quello di renderlo malato – fu quella la battaglia contro il ‘gran numero’”15.

Il ricorso al Codice di Manu quale arma contro il cristianesimo prosegue nell’Anticristo: “Si coglie in flagranti l’empietà dei mezzi cristiani, se si commisura il fine cristiano con il fine del codice di Manu”16. Infatti, mentre il cristianesimo ha “soltanto scopi cattivi“, il Codice di Manu è “un’opera incomparabilmente spirituale e superiore, e anche soltanto il nominarla insieme con la Bibbia sarebbe un peccato contro lo spirito17. Alla Scrittura giudaico-cristiana, “maleodorante di rabbinismo e superstizione”, Nietzsche contrappone il Codice di Manu, il cui significato viene riassunto nei termini seguenti: “valori aristocratici ovunque, un senso di compiutezza, un dire-di-sì alla vita, un trionfante benefico senso di sé e della vita – su tutto il libro sta il sole18.

Ma l’incontro di Nietzsche con l’India non si esaurisce qui. Secondo Ananda K. Coomaraswamy, il pensiero nietzschiano converge con l’induismo nell’indicare come ideale supremo il superamento della condizione umana, sicché l’ideale nietzschiano dell’Übermensch troverebbe puntuale riscontro in analoghe figure della cultura spirituale indù: “La sua mirabile dottrina del Superuomo – che presenta una così grande somiglianza col concetto cinese dell’Uomo Superiore e col Mahâ Purusha, il Bodhisattva e il Jîvan-mukta dell’India – (…) è apparsa continuamente nella storia del mondo. Per designare questo ideale, la letteratura indù ha tutta una serie di termini: è l’Arhat (adepto), il Buddha (illuminato), il Jina(conquistatore), il Tirthakara (scopritore del guado), il Bodhisattva (incarnazione della virtù dispensatrice) e soprattutto il Jîvan-mukta (liberato in questa vita), le cui azioni non sono più né buone né cattive, ma procedono dalla sua natura liberata”19. Collocando al di là del bene e del male l’agire del Superuomo, Nietzsche formula in altri termini una dottrina contenuta nei testi sapienziali indù. “La Volontà di Potenza – prosegue il grande erudito anglo-indiano – afferma che la nostra vita non deve esser governata da motivi di piacere o di dolore, ‘le coppie dei contrari’, ma che deve dirigersi verso il suo scopo, cioè la libertà e la spontaneità del Jîvan-mukta. E questo scopo è al di là del bene e del male. Così lo espone anche la Bhagavad Gîtâ: l’eroe deve essere superiore alla pietà (açocyân anvaçocas tvam), risoluto per la lotta, ma senza attaccamento al risultato. (…) L’insegnamento di Nietzsche è un puro nishkâma dharma: ‘Mi affatico dietro la felicità? Io mi affatico dietro il mio compito‘”20.

 

 

Nietzsche e il buddhismo

“Non c’è fede religiosa – è stato osservato da Charles Andler – che più del buddhismo Nietzsche abbia studiata con passione”21. Il motivo di una tale preferenza, secondo un altro studioso, dev’essere ricercato nel “profumo aristocratico di questa dottrina, la quale propone un superamento della morale, delle forme, affermando che è possibile, al termine di un lungo e difficile cammino, trascendere la condizione umana”22.

L’attenzione per il buddhismo – Nietzsche aveva letto il libro di Oldenberg23 – emerge già nelle annotazioni del 1875-’76: “Andate e nascondete le vostre buone azioni e confessate davanti alla gente i peccati che avete fatto. Buddha”24. Ma “uno che, secondo il precetto di Buddha, abbia nascosto il suo bene davanti alla gente e le abbia lasciato vedere solo il suo male”25, prosegue Nietzsche, non è mai esistito, mentre è molto più facile applicare l’insegnamento contenuto nel Vangelo di Matteo: “Fate vedere alla gente le vostre buone azioni”26. Se nel buddhismo prevale un orientamento spirituale rivolto alla conoscenza, il cristianesimo si caratterizza invece in senso moralistico e giudiziario: “i santi indiani (…) stanno a un gradino intermedio fra il santo cristiano e il filosofo greco (…): la conoscenza, la scienza – nella misura in cui esse esistevano -, l’elevazione al di sopra degli altri uomini, attraverso la disciplina e l’educazione del pensiero, furono richieste dai buddhisti come segno di santità, allo stesso modo in cui le stesse qualità vengono negate e bollate nel mondo cristiano come segno di non santità”27. Il confronto prosegue con la contrapposizione del diverso atteggiamento di cristiani e buddhisti riguardo a guerra e violenza: “La storia del cristianesimo (…), contrariamente alla morale buddhistica dei popoli che mangiano il riso, è piena zeppa di violenza e gronda sangue”28. Ma è stato proprio questo carattere pacifico del buddhismo, osserva Nietzsche, a condannare l’India ad una posizione marginale rispetto agli altri Paesi: “Quando il buddhismo si oppose alle guerre con la sua mite morale da mangiatori di riso, l’India fu cancellata dalla storia delle potenze civili”29.

La valutazione positiva del buddhismo induce Nietzsche ad auspicare un rinnovamento dell’Europa per effetto di una “religione dell’autoredenzione” come quella insegnata dal Buddha: “Un passo avanti: e gli dèi furono gettati da parte – e questo l’Europa dovrà pur fare una buona volta! Un altro passo avanti: e anche i preti e i mediatori non furono più necessari, e comparve Buddha ad insegnare la religione dell’autoredenzione - quanto è ancor lontana l’Europa da questo grado di civiltà! (…) Non cerchiamo d’indovinare, ma cerchiamo piuttosto, per prima cosa, di fare in modo che l’Europa ripeta ciò che in India, tra il popolo dei pensatori, già alcuni millenni or sono fu realizzato come imperativo del pensiero”30.

Successivamente la prospettiva di Nietzsche cambia, tanto che il buddhismo viene coinvolto assieme al cristianesimo in un unico giudizio negativo. Nella Gaia scienza leggiamo: “le due religioni mondiali, il buddhismo e il cristianesimo, potrebbero aver avuto la loro base d’origine, e a un tempo il segreto della loro repentina diffusione, in una mostruosa malattia della volontà. E in verità così è accaduto: entrambe queste religioni s’imbatterono nell’esigenza di un ‘tu devi’ innalzata all’assurdo da una malattia della volontà, e progrediente fino alla disperazione; entrambe queste religioni furono maestre di fanatismo in epoche di snervamento della volontà e pertanto offrirono a innumerevoli uomini un appoggio, una nuova possibilità di volere, un godimento nel volere”31. E in Al di là del bene e del male: “Forse non c’è nulla di più venerando, nel cristianesimo e nel buddhismo, della loro arte di ammaestrare le creature più umili a collocarsi, attraverso la devozione, in un apparente ordine superiore di cose, e di tener stretto, in tal modo, a sé quel loro contentarsi dell’ordine reale, all’interno del quale esse vivono abbastanza duramente – e proprio questa durezza è necessaria!”32.

Nella primavera 1888, nel quadro di una schematica valutazione delle grandi religioni, Nietzsche tenta un sintetico raffronto fra la dottrina del Buddha e quella di Paolo: “Come si presenta una religione semiticanegativa, come prodotto delle classi oppresse: il Nuovo Testamento – una religione da ciandala. Come si presenta una religione ariana negativa, sviluppatasi tra le classi dominanti: il buddhismo”33. Nell’Anticristo, dove di lì a poco il raffronto viene ampiamente sviluppato, le due dottrine si trovano accomunate in quanto “religioni nichilistiche (…) religioni della décadence34, però vengono stabilite delle differenze fondamentali: “Il buddhismo è cento volte più realistico del cristianesimo (…) è la sola religione veramente positivistica che ci mostri la storia; (…) esso sta, parlando nella mia lingua, al di làdel bene e del male”35. Libera da condizionamenti moralistici, la dottrina del Buddha “non richiede alcuna lotta contro coloro che pensano diversamente; ciò da cui maggiormente si difende (…), è il sentimento della vendetta, dell’avversione, del ressentiment36. Questi istinti, tipici degli humiliores e degli oppressi, emergono nel cristianesimo, mentre il buddhismo reca ben visibile l’impronta nobile di quegli ambienti sociali superiori e dotti da cui esso ha tratto origine. La contrapposizione si protrae nei paragrafi 21-23, fino a concludersi, all’inizio del § 42, con questo giudizio: “il buddhismo non promette, ma mantiene, il cristianesimo promette tutto, ma non mantiene nulla37.

 

 

Nietzsche e l’Islam

Nello schema delle religioni abbozzato da Nietzsche trova posto ovviamente anche l’Islam. Pur avendo in comune col buddhismo il fatto di esser nato in ambienti sociali superiori e col cristianesimo il fatto di aver preso inizialmente forma in seno ad un popolo semitico, l’Islam è però, diversamente da queste due religioni, una religione “affermativa38, dato il suo caratteristico dir di sì alla vita.

Significativo a tale proposito è l’aforisma 100 di Umano, troppo umano, nel quale troviamo il primo riferimento di Nietzsche alla cultura islamica. Al fine di mostrare come il pudore sia un sentimento che l’homo religiosus avverte in prossimità di un mistero, Nietzsche spiega che, data la sacralizzazione del sesso tipica delle civiltà tradizionali, presso le società musulmane la camera nuziale “si chiama harem, ‘santuario’, viene cioè designata con la stessa parola che è usata per i vestiboli delle moschee”39.

Vi è poi un’altra istituzione storica delle società musulmane che rivela a Nietzsche un atteggiamento affermativo nei confronti della vita: l’hammam. Imputando al cristianesimo il disprezzo del corpo e l’ostilità per l’igiene, Nietzsche ricorda che “la prima misura adottata dai cristiani, dopo la cacciata dei Mori, fu la chiusura dei bagni pubblici, mentre la sola Cordova ne possedeva 270″40. La cancellazione dell’Islam dalla penisola iberica, un disastro paragonabile alla distruzione della civiltà greco-romana, ispira a Nietzsche un infuocato atto d’accusa nei confronti del cristianesimo. Quest’ultimo “ci ha defraudato del raccolto della civiltà antica; e più tardi ci ha defraudato di quello della civiltà islamica. Il meraviglioso mondo della civiltà moresca di Spagna, a noi in fondo più affine, più eloquente ai nostri sensi e al nostro gusto di quanto non lo siano Roma e la Grecia, fu calpestato – non dico da che specie di piedi – perché? Perché doveva la sua origine a istinti aristocratici, virili, perché diceva sì alla vita anche con le rare e raffinate preziosità della vita moresca!…”41.

Con le Crociate, prosegue Nietzsche, fu poi aggredita una civiltà che era superiore non soltanto alla civiltà cristiana coeva, ma anche a quella dell’Europa moderna. “In seguito i crociati combatterono qualcosa, di fronte a cui sarebbe stato più conveniente per essi prostrarsi nella polvere, – una civiltà rispetto alla quale persino il nostro secolo diciannovesimo potrebbe sembrare molto povero, molto ‘tardo’. – Indubbiamente essi volevano saccheggiare: l’Oriente era ricco… Si sia dunque imparziali! Le crociate – una superiore pirateria e null’altro!”42. Il più grande tra gl’imperatori di nazione germanica fu perciò Federico II di Svevia, colui che rifiutò di portare le armi contro l’Islam e le rivolse contro il potere papale. “‘Guerra senza quartiere a Roma! Pace, amicizia con l’Islam’: non fu così che sentì e operò quel grande spirito libero, il genio tra gli imperatori tedeschi, Federico secondo?”43.

 

 

Nietzsche e la Persia

È opinione comunemente accettata che lo Zarathustra nietzschiano abbia poco o nulla in comune con l’omonimo profeta iranico. Per gl’interpreti del filosofo, “Zarathustra è Nietzsche, il Nietzsche mai accettato e riconosciuto dalla propria epoca. (…) Il paesaggio di Zarathustra non corrisponde alla Persia né a un qualsiasi paese immaginario. (…) È il paesaggio spirituale dell’Europa in cui viviamo oggi”44. Per gli studiosi della civiltà iranica, lo Zarathustra di Nietzsche “non dovrà nulla al profeta dell’Iran all’infuori del nome, scelto per il suo esotismo”45. Tuttavia non è mancato chi ha sostenuto che “l’eroe di Friedrich Nietzsche (…), non prendendo nulla a prestito dalla filosofia e nemmeno dalla storia tradizionale, nella sua ricerca del superuomo si rivela talvolta più ‘zarathustriano’”46 di quanto generalmente si ritenga. D’altronde è un dato di fatto, come ha osservato Henry Corbin, che “dal filosofo bizantino Gemisto Pletone (…) fino allo Zarathustra col quale si identifica Nietzsche”47, passando per l’Opus postumum di Kant e la Fenomenologia dello spirito di Hegel, la filosofia europea ha valorizzato i temi dell’antico Iran, presentandone il profeta in una luce volta a volta diversa.

Nietzsche, da parte sua, attinse le proprie conoscenze sullo zoroastrismo da diverse fonti. Nel De Iside et Osiride di Plutarco (369E-370C) trovò attestata la dottrina dell’alterno dominio di Ahura Mazda e di Ahriman. Nei Saggi di Ralph Waldo Emerson (1802-1882) trovò un brano in cui Zarathustra viene riconosciuto come colui dal quale “non può provenire che la verità”. Ma soprattutto egli lesse, tra il 1875 e il 1878, l’Eranische Alterthumskunde48 di Friedrich von Spiegel (1820-1905), che era stato professore all’università di Erlangen dal 1849 al 1890, aveva tradotto l’Avesta49 e aveva pubblicato numerosi studi di iranistica, tra i quali una biografia di Zarathustra uscita nel 186750. Grazie ai lavori di iranisti come Von Spiegel e come Martin Haug (1827-1876), Nietzsche poté considerare Zarathustra “un riformatore importantissimo nella storia del pensiero, in quanto si trova all’origine di idee fondamentali come quella dell’eterno ritorno. Nietzsche riprese il nome illustre di un iniziatore per darlo al suo personaggio, che vuol essere pure lui l’iniziatore e il fondatore di una nuova era e di una nuova umanità”51.

In questo modo il profeta dell’Iran diventò, assieme ad altri personaggi fondamentali della storia umana, un antenato spirituale dello stesso Nietzsche: “Il mio orgoglio invece è che ‘io ho un’origine’, sicché non ho bisogno della gloria. Vivo anche in ciò che muoveva Zarathustra, Mosè, Maometto, Gesù, Bruto, Spinoza, Mirabeau; così, sotto diversi riguardi, in me per la prima volta maturano e vengono alla luce embrioni che hanno avuto bisogno di un paio di millenni”52.

Tra questi personaggi, Zarathustra era quello che meglio si adattava a rappresentare l’opera di Nietzsche come l’inizio di una nuova visione della storia: “Ho dovuto rendere onore a Zarathustra, a un Persiano; i Persiani infatti hanno per primi pensato la storia in tutta la sua grandiosità. Una successione di sviluppi, ciascuno dei quali è presieduto da un profeta. Ogni profeta regge un hazar, ovvero un regno di mille anni”53.

Henry Corbin ritrova l’eco di questa frase di Nietzsche, che assegna ai Persiani il primato della filosofia della storia, nella dichiarazione di un orientalista: “Solo lo spirito iranico è pervenuto ad attribuire al male un’origine metafisica e a dar conto dell’opposizione del bene e del male mediante un dualismo netto e definitivo”54. A tale affermazione bisogna però obiettare che il riconoscimento dell’origine metafisica del bene e del male esclude logicamente il carattere “netto e definitivo” della dualità, in quanto il livello morale viene trasceso da quello metafisico, che per ciò stesso si trova al di là del bene e del male. Opportunamente quindi Corbin ripete le parole di Adler, secondo cui Nietzsche era un “inconsapevole Parsi zervânita” 55, ossia un seguace della dottrina che identifica Zervân akanârak, il Tempo assoluto al di là degli dèi del Bene e del Male, col Principio uno ed unico dell’esistenza totale.

 

 

 

                                                                                                                                                     

NOTE:

1.  F. Nietzsche, Ecce homoIl caso Wagner, 2, Newton Compton, Roma 1978, p. 116.

2.  F. Nietzsche, La gaia scienza, 377, Adelphi, Milano 1977, p. 314.

3.  F. Nietzsche, Al di là del bene e del male, VIII, 256, Adelphi, Milano 1977, p. 171.

4.  F. Nietzsche, Al di là del bene e del male, cit., ibidem.

5.  F. Nietzsche, Al di là del bene e del male, cit., ibidem.

6.  F. Nietzsche, Umano, troppo umano e scelta di frammenti postumi (1878-1879), Parte ottava, 475, Oscar Mondadori, Milano 1970, vol. I, p. 247.

7.  F. Nietzsche, Al di là del bene e del male, III, 52, cit., p. 59.

8.  F. Nietzsche, Al di là del bene e del male, VI, 208, cit., p. 115.

9.  F. Nietzsche, Al di là del bene e del male, cit., ibidem.

10. F. Nietzsche, La nascita della tragedia, Longanesi, Milano 1976, p. 25.

11. F. Nietzsche, La nascita della tragedia, cit., p. 141.

12. F. Nietzsche, Aurora e scelta di frammenti postumi (1879-1881), Libro primo, 65, Oscar Mondadori, Milano 1971, p. 48.

13. F. Nietzsche, Aurora e scelta di frammenti postumi (1879-1881), Libro primo, 96, cit., pp. 65-66.

14. F. Nietzsche, Genealogia della morale, Terza dissertazione, 17, Adelphi, Milano 1990, p. 128.

15. F. Nietzsche, Crepuscolo degli idoli ovvero Come si filosofa col martello, “‘Quelli che migliorano’ l’umanità”, 3, Adelphi, Milano 1983, p. 68.

16. F. Nietzsche, L’anticristo, 57, Adelphi, Milano 1975, p. 83.

17. F. Nietzsche, L’anticristo, 56, cit., p. 82.

18. F. Nietzsche, L’anticristo, cit., ibidem.

19. A. K. Coomaraswamy, La danse de Shiva, Editions d’aujourd’hui, Paris 1984, pp. 212-213.

20. A. K. Coomaraswamy, La danse de Shiva, cit., p. 217.

21. Ch. Andler, Nietzsche, sa vie et sa pensée, t. II, Gallimard, Paris 1979, p. 414. Sul rapporto di Nietzsche col buddhismo esiste tutta una bibliografia: A. W. Rudolph, Nietzsche: Buddhism and Nihilism and Christianity, “Philosophy Today”, 13 (1969), pp. 34-42; Okochi, Nietzsches amor fati im Lichte von Karma des Buddhismus, “Nietzsche Studien” (1972), pp. 36-94; Abe Masao, Zen and Nietzsche, “The Eastern Buddhist”, 6 (1973), pp. 14-32; A. M. Frazier, A European Buddhism, “Philosophy East and West”, 25 (1975), pp. 145-160; B. Nanajivako, The Philosophy of Disgust, Buddha and Nietzsche, “Schopenhauer Jahrbuch”, 58 (1977), pp. 112-132; G. Pasqualotto, Nietzsche e il buddhismo zen, in AA. VV., Nietzsche. Verità-interpretazione. Alcuni esiti della rilettura, Tilgher, Genova 1983, pp. 155-188.

22. C. Levalois, Préface, in: C. Mutti, Nietzsche et l’Islam, Editions Hérode, Chalon sur Saône 1994, p. 10.

23. H. Oldenberg, Buddha. Sein Leben, seine Lehre, seine Gemeinde, Berlin 1881. Ne sono citati due passi in Genealogia della morale, Terza dissertazione, 7, cit., p. 100; un’altra breve citazione si trova in Anticristo, cit., p. 24.

24. F. Nietzsche, Richard Wagner a Bayreuth Frammenti postumi (1875-1876), Adelphi, Milano 1967, p. 87, framm. 3.1..

25. F. Nietzsche, Umano, troppo umano e scelta di frammenti postumi (1878-1879), § 607, cit., vol. I, p. 274.

26. F. Nietzsche, Umano, troppo umano e scelta di frammenti postumi (1878-1879), cit., vol. I, p. 380, nota 607.

27. F. Nietzsche, Umano, troppo umano e scelta di frammenti postumi (1878-1879), § 144, cit., vol. I, pp. 108-109.

28. F. Nietzsche, Umano, troppo umano e scelta di frammenti postumi (1878-1879), cit., vol. I, fr. 23 [103], p. 342.

29. F. Nietzsche, Umano, troppo umano e scelta di frammenti postumi (1878-1879), cit., vol. I, fr. 22 [92], p. 330.

30. F. Nietzsche, Aurora e scelta di frammenti postumi (1879-1881), Libro primo, 96, cit., pp. 67-68.

31. F. Nietzsche, La gaia scienza, § 347, Adelphi, Milano 1977, pp. 261-262.

32. F. Nietzsche, Al di là del bene e del male, III, 61, cit., p. 67.

33. F. Nietzsche, L’anticristo e scelta di frammenti postumi (1887-1888), framm. 14.195, Mondadori, Milano 1974, p. 170. Cfr.Christianismi et buddhismi essentia: F. Nietzsche, La volontà di potenza, fr. 367, Newton Compton, Roma 1984, p. 143.

34. F. Nietzsche, L’anticristo, 20, cit., p. 22.

35. F. Nietzsche, L’anticristo, 20, cit., pp. 22-23.

36. F. Nietzsche, L’anticristo, 20, cit., pp. 23-24.

37. F. Nietzsche, L’anticristo, 42, cit., p. 55.

38. F. Nietzsche, L’anticristo e scelta di frammenti postumi (1887-1888), framm. 14.195, cit., ibidem.

39. F. Nietzsche, Umano, troppo umano e scelta di frammenti postumi (1878-1879), Parte seconda, 100, cit., vol. I, p. 73.

40. F. Nietzsche, L’anticristo, 21, cit., p. 25.

41. F. Nietzsche, L’anticristo, 60, cit., p. 92.

42. F. Nietzsche, L’anticristo, 60, cit., pp. 92-93.

43. F. Nietzsche, L’anticristo, 60, cit., p. 93. – Per una più completa ricostruzione del rapporto di Nietzsche con l’Islam, rinvio il lettore al mio saggio su Nietzsche e l’Islam, in: C. Mutti, Avium voces, Edizioni all’insegna del Veltro, Parma 1998, pp. 43-66.

44. A. Baeumler, L’innocenza del divenire. Scritti nietzscheani, Edizioni di Ar, Padova 2003, p. 116.

45. J. Varenne, Zarathustra. Storia e leggenda di un profeta, Convivio-Nardini, Firenze 1991, p. 7.

46. P. du Breuil, Zarathoustra et la transfiguration du monde, Payot, Paris 1978, pp. 10-11.

47. H. Corbin, L’Iran e la filosofia, Guida, Napoli 1992, p. 56.

48. F. Spiegel, Eranische Alterthumskunde. I: Geographie, Ethnographie und a”lteste Geschichte. II: Religion, Geschichte bis zum Tode Alexanders des Grossen. III: Geschichte, Staats- und Familienleben, Wissenschaft und Kunst, 3 voll., Wilhelm Engelmann, Leipzig 1871-1878.

49. F. Spiegel, Avesta: die heiligen Schriften der Parsen, aus dem Grundtexte übersetzt, mit steter Ru”cksicht auf die Tradition, 3 voll., Leipzig 1852-1863; F. Spiegel, Commentar über das Avesta, 2 voll., Wien 1864-1868.

50. F. Spiegel, Über das Leben Zarathustras. 1. Quellen. 2. Der Name Zarathustra. 3. Zeitalter des Z. 4. Vaterland des Z. 5. Abstammung und Jugendgeschichte Z’s. 6. Vorbereitung und öffentliches Auftreten Z’s. 7. Z’s Aufenthalt in Baktrien. 8. Schlussbemerkungen-Anhang: Die Magier und die Athravas, S.B.A.W., München 1867.

51. C. Levalois, Préface, cit., p. 12.

52. KSA 9, 642; FP 1881-’82, 433.

53. KSJ 11, 53; FP 1884 VII, II, 44.

54. H. S. Nyberg, Questions de cosmogonie et de cosmologie mazdéennes, “Journal asiatique”, CCXIX (1931), 3, p. 30.

55. H. Corbin, L’Iran e la filosofia, cit., p. 61.