Dugin e la rivoluzione contro la postmodernità

Tra quarta teoria politica, soggetto radicale e mondo multipolare

Come reagire all’estrema follia del nichilismo, che l’intuito visionario di Nietzsche preconizzò quale incubo dell’ultimo uomo? Quale risposta fornire ad una società e una vita liquide (Baumann), nelle quali i confini, le certezze, le identità individuali e collettive, i riferimenti culturali e sociali si diluiscono in un indistinto caos?  Quale alternativa fattuale prospettare alla scientifica decostruzione di tutto ciò che è stabile ed ha forma, al nomadismo omologante, all’incertezza frustrante di moltitudini individualistiche e parcellizzate che, disperate, non riescono ad uniformarsi agli standard e agli schemi imposti dalla società dei consumi e si riducono a masse sradicate di aspiranti consumatori, schiavizzati all’interno del ciclo economico dello sfruttamento turbocapitalista globalizzato? Come ridare forma ad un mondo dove il mercato e non più l’agorà è il centro della polis e l’essere umano – rinnegati gli archetipi dell’uomo e della donna – viene privato persino della sua basilare identità di genere?

A queste domande tenta d dare risposta il filosofo e politologo russo Aleksandr Dugin con la sua visione di un mondo multipolare, il cui attore principale è il soggetto radicale quale uomo differenziato proiettato nella postmodernità, portatore di una visione del mondo spirituale e di una quarta teoria politica che si opponga alla prima (il liberalismo dominante), prendendo atto del fallimento della seconda (il comunismo) e della terza (il fascismo). La costruzione teorica di Dugin parte dalla necessità di reagire alla dittatura globale dell’impero americano e dei suoi valori antitradizionali, rifacendosi esplicitamente agli scritti di Guenon e di Evola (del quale ha tradotto gran parte dell’opera, curandone la pubblicazione in Russia) e alla loro critica radicale delle basi filosofiche e spirituali della modernità.  Con la globalizzazione dei valori occidentali moderni e il qualitativo passaggio dalla modernità alla postmodernità, il “Ricco Nord   ha sottratto al resto del mondo – comprese le proprie periferie e il proprio Sud – qualsiasi prospettiva di sviluppo, determinando le condizioni propizie all’emergere dell’attuale rivolta populista degli esclusi e dei perdenti, impoveriti dall’1% che possiede ricchezze maggiori del restante 99% della popolazione mondiale. Dugin lancia un appello agli uomini dell’Europa occidentale e degli Stati Uniti rimasti in piedi tra le rovine della propria Tradizione premoderna, affinché prendano parte alla rivolta delle tante tradizioni ancora vive e operanti che, nel pianeta, si stanno opponendo alla deriva totalitaria della modernità e all’irruzione della postmodernità liquida. Il filosofo russo si rivolge con parole nette agli epigoni di destra e di sinistra della seconda e della terza via, ma anche ai liberali e ai democratici intellettualmente onesti: “Quando una società cerca di giudicare le altre, applica i suoi criteri, e così facendo compie una violenza intellettuale. Proprio questo atteggiamento costituisce il crimine commesso dalla globalizzazione e dall’occidentalizzazione, oltre che dall’imperialismo americano. Se liberiamo il socialismo dalle sue caratteristiche materialiste, ateiste e moderniste, e se ripuliamo gli aspetti razzisti e strettamente nazionalistici delle dottrine della terza via, arriviamo a un tipo completamente nuovo di ideologia politica. Noi la chiamiamoQuarta Teoria Politica”.

Dugin così ribalta l’accusa di razzismo e di totalitarismo sulle oligarchie e sui loro opinionisti e intellettuali politically correct, perché la globalizzazione “è la forma più pura dell’ideologia razzista. La Quarta Teoria Politica ha tra i suoi aspetti essenziali il rifiuto di tutte le forme e le manifestazioni di razzismo e di tutte le forme di normativizzazione di gerarchie tra le società basate su argomenti etnici, religiosi, sociali, tecnologici, economici o culturali. Due società possono essere messe a confronto, ma non si può affermare che una è oggettivamente meglio delle altre. Una simile valutazione è sempre soggettiva, e ogni tentativo di elevare una valutazione soggettiva allo status di teoria è razzismo”.  La Quarta Teoria Politica è lo sviluppo logico e conseguenziale del tradizionalismo nella postmodernità. Il suo obiettivo dichiarato è delineare uno spazio concettuale originale e allo stesso modo premoderno, che a tempo debito sarà definito con un proprio nome per traghettare oltre la decadenza, verso una nuova era aurea, un’umanità risvegliata dalla battaglia delle idee del Soggetto Radicale.

Il Soggetto Radicale è l’uomo della Tradizione che vive in un mondo senza Tradizioni e si oppone ai progetti sull’immortalità biologica del post-umanesimo e sull’intelligenza artificiale, agendo nello spazio liminale tra un ciclo che sta per finire ed un altro che deve ancora sorgere. Non per restaurare forme ormai ridotte a simulacri ma per un ritorno all’Eterno declinato in maniera totalmente nuova. Il Soggetto Radicale è l’uomo differenziato – per il quale Evola scrisse la sua ultima opera, Cavalcare la Tigre–  proiettato nella postmodernità, consapevole che la “modernità è definitivamente conclusa. Dobbiamo farcene una ragione. Quello che più spesso ci viene imposto con i termini postmodernità e postmoderno è un pietoso balbettio. E così ora dobbiamo capire cos’è la vera postmodernità. Se non lo facciamo, non potremo capire né ciò che sta accadendo intorno a noi, né ciò che sta accadendo dentro di noi. La postmodernità è un argomento serio, ed è sciocco fingere che non sia successo nulla”.  La visione escatologica duginiana assimila la postmodernità al “regno dell’Anticristo”, corrispondente alla fase terminale del “Dajjal” dei musulmani, “Erev Rav” degli ebrei, “Kali Yuga” degli induisti, “Età del Ferro” esiodea dell’epoca classica. La profondità dell’approccio metafisico di Dugin giunge a delineare la possibilità di un nuovo ciclo.

Sul piano geopolitico, in Teoria del Mondo Multipolare Dugin delinea una prima risposta scientifica all’unipolarismo americanocentrico basandosi sul rispetto delle tradizioni, delle culture e delle identità di tutti i popoli. Partendo dalla lezione geopolitica di Carl Schmitt, Dugin prende atto della fine del sistema bipolare sancito a Yalta al termine del secondo conflitto mondiale. L’unipolarismo è diventato, dopo il 1991, la struttura del nuovo ordine mondiale e tale è rimasta fino ai nostri giorni. In futuro non ci sarà possibilità di compromesso tra le due opzioni possibili, nel senso che il mondo o sarà unipolare – con un unico centro decisionale ed un unico universo di valori – o non potrà che essere multipolare e dunque pluralista, identitario, sovranista. Il mondo non-polare dominato dal virtuale propugna l’estensione del <melting pot> americano al resto del mondo, a prezzo della cancellazione di tutte le differenze tra i popoli e le culture.  In un simile scenario appare parziale l’attuale attenzione – nelle intenzioni di certo positiva e condivisibile – alla salvaguardia delle biodiversità di tutti gli organismi viventi se rapportata all’accusa di razzismo nei confronti di chi coerentemente intende salvaguardare anche le diverse etnie e culture. Un’accusa da utili idioti di leniniana memoria abilmente distillata attraverso precise tecniche di manipolazione dell’opinione pubblica, sulle quali rimane insuperata la lezione di N. Chomsky.

Compito del multipolarismo – e della quarta teoria politica – sarà ridimensionare la pretesa di universalità dell’ultima cultura egemonica superstite, decostruendo il suo sistema di valori e i suoi fondamenti filosofici. Gli stessi intellettuali europei – in particolare neomarxisti, ma anche ecologisti e terzomondisti – restano prigionieri del pregiudizio egemonico etnocentrico anche quando lo negano, non riuscendo a superare alcune pregiudiziali occidentali  quali <democrazia>, <globalizzazione> e <diritti civili>. La stessa analisi marxista è una paradossale variante del disegno egemonico delle oligarchie mondialiste occidentalizzate. Infatti, mentre per i neomarxisti (Toni Negri ed altri) il comunismo sarà la logica conseguenza del progressista sistema capitalistico globalizzato, Dugin porta la critica al sistema su di un superiore piano ontologico dove il mondo multipolare dovrà sostituire la forma-capitale e il modello liberale e non esserne la continuazione. Il mondo multipolare è un pluriversum di civiltà, ciascuna con la propria visione dell’uomo e del mondo ed un proprio approccio gnoseologico, nel quale il dialogo è possibile grazie al rispetto reciproco della unicità altrui, mentre la pretesa di ridurre la pluralità di civiltà ad una singolarità unipolare – tipica del totalitarismo globale liberale – non potrà che essere fonte di conflitti.

Ne conseguirà una rivoluzione anche nel sistema dei pagamenti e dei tassi di cambio, basato sulla quantità degli scambi di beni e servizi e dunque sull’economia reale e non sulla speculazione finanziaria; la molteplicità dei centri valutari sarà diretta espressione della molteplicità delle strutture politiche e della diversificazione dei modelli economici. “L’essenziale – scrive Dugin –  è emanciparsi dalla dominazione del dogmatismo liberale e dall’egemonia dell’ortodossia capitalistica, e minare il meccanismo globale che porta a fare del <ricco Nord> il principale beneficiario nell’organizzazione della divisione planetaria del lavoro”.

Dugin ha chiamato a raccolta le migliori intelligenze – le avanguardie delle élite intellettuali, in senso guenoniano, più volte richiamate nei suoi testi – partendo dall’Italia, e non solo perché la penisola è (non a caso e come spesso accaduto nella sua storia) laboratorio politico e terreno principale di scontro tra la rivolta populista e la reazione tecnocratica e liberista. La dimensione geopolitica dell’Italia – naturale proiezione nel Mediterraneo – ne fa un ponte naturale tra l’Europa occidentale e l’Asia (e l’Africa, che dell’Asia sta diventando una propaggine). Il ritorno alle comuni origini indoeuropee farà del continente eurasiatico uno dei poli di civiltà del mondo multipolare, pur nella specificità europea. Infatti il filosofo russo sottolinea che Europa ed Eurasia saranno due poli indipendenti seppur geograficamente e culturalmente contigui. Nella visione duginiana, Europa e Russia sono e devono restare due soggetti diversi, due poli accomunati da un destino comune all’interno di un grande spazio continentale eurasiatico. Se vorremo evitare il rischio di una devastazione del pianeta da fine dei tempi – tra transumanismo, postmodernismo e guerre egemoniche per la conquista del cuore del mondo –  sarà necessario un salto di paradigma che prenda le mosse dalla consapevolezza della neutralità della geopolitica, della tecnica e della finanza rispetto alle religioni, alle ideologie, alle forme di governo.

Per incidere nella postmodernità bisognerà contestualmente affrancarsi, insiste Dugin, dalle ideologie moderne e da ogni forma di confessionalismo senza lasciarsi logorare in sterili polemiche di principio o distrarre – rispetto alla portata della reale posta in gioco – in battaglie di retroguardia (quali quelle nazionalistiche dei falsi sovranismi) o attestarsi su posizioni perse, residui incapacitanti di epoche passate. Tali ultimi contesti vanno lasciati agli studi degli specialisti e alla revisione degli storici indipendenti. Il soggetto radicale – ovvero l’uomo differenziato evoliano o l’anarcajungeriano – è chiamato alla battaglia delle idee per riorientare il senso comune e l’immaginario collettivo. Non esiste alternativa per un essere umano degno e consapevole.

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