PUTIN O SUPER-PUTIN

Editoriale di Aleksandr Dugin a commento dell’articolo di Vladislav Surkov apparso l’11 febbraio scorso col titolo “Lo stato duraturo di Putin”, un’analisi sullo stato del regime politico nella Russia contemporanea. Surkov è il teorizzatore del concetto di “democrazia sovrana”.

Putin – afferma Dugin – rappresenta un compromesso tra liberali (élite) e patrioti (popolo), qualcosa di indubbiamente migliore rispetto agli anni ’90 che tuttavia non costituisce l’opzione ottimale per la Russia. La Russia nel dopo-Putin, asserisce Dugin, avrebbe bisogno di un “Super Putin”. [NdT]

 

Una profezia autoavverante delle élite

L’idea principale dell’articolo di Surkov [1] è la seguente: il regime che si è formato attualmente in Russia soddisfa in modo ottimale gli interessi nazionali e durerà per sempre. Ad un certo punto Putin dovrà lasciare, ma tutto rimarrà esattamente come è ora. Questo assetto sarà eterno.

Tutto ciò rievoca le formule taumaturgiche della «inevitabile vittoria del socialismo» e dell’«ulteriore rafforzamento del sistema socialista» che i propagandisti di partito pronunciavano verso la fine degli anni ’80. Nella nostra storia, di regola, si inizia ad affermare che un regime è eterno e forte come non mai, e che lo status quo durerà per sempre, proprio a ridosso della sua fine.

Naturalmente, l’élite politica che si è adeguata a Putin, le cui origini come per lo stesso Surkov risalgono all’entourage di Eltsin e ai liberali degli anni ’90, o che è assurta al rango oligarchico sotto Putin, desidera ardentemente che tutto rimanga come è. Surkov qui esprime la volontà collettiva di questa élite, il suo pio desiderio, sotto forma di previsione futurologica. L’intero articolo è costruito nei termini di una profezia autoavverante e allo stesso tempo rappresenta una minaccia: in futuro tutto sarà esattamente come è ora, questo è un “fatto scientifico” (“così dice Surkov”), e coloro che voglio cambiare qualcosa pagheranno per questo, e falliranno nel loro tentativo. Un articolo abbastanza duro nel complesso.

Perché Surkov lo abbia scritto è comprensibile: egli, come sempre, torna a rivendicare il ruolo di principale ideologo di Putin nonché di suo preminente uomo delle pubbliche relazioni e cerca di giustificare questo ruolo nell’ultima fase dell’era di Putin. Questa era sta inevitabilmente giungendo alla sua logica conclusione, e le élite si stanno impegnando per rendere il proprio status sociale immutabile “nei secoli”.

Questo, a Putin, viene presentato in un modo leggermente diverso: noi ci inchiniamo al tuo genio – essi dicono – e così dovrà fare anche il popolo, e sorgerà qualche malcontento generato da incomprensioni, e i tuoi leali servitori se ne occuperanno. Così, siamo pronti ad imbalsamarti vivo e a trasformarti fin da subito in un mausoleo. Tu hai creato uno Stato, esso è ottimale e sarà l’inizio di una nuova era – che inizia oggi e perdurerà nei secoli a venire. Putin è per sempre.

Putin come compromesso

Trovo che nell’articolo di Surkov il messaggio principale sia sincero e rifletta la volontà delle élite attuali di autoconservarsi e di preservare il regime in uno stato immutato nel periodo successivo a Putin. Affinché Putin stesso non decida di modificare inavvertitamente qualcosa, egli viene rassicurato: è tutto perfetto. Ma sincerità non significa verità. Il solipsismo delle élite al potere non può ancora sostituire la storia e la logica politica. Pertanto, l’analisi di Surkov sullo stato del regime politico nella Russia contemporanea è completamente mendace fin nei suoi presupposti.

L’errore principale di Surkov consiste nel non tener conto del fatto che Putin appartiene interamente al presente politico della Russia, ma egli non avrà alcuna influenza sul futuro, su ciò che arriverà subito dopo di lui. Così è stato per Gorbaciov e Eltsin. I loro successori hanno seguito un corso completamente diverso, ignorando totalmente i propri predecessori. Certo, qualcosa si è trasmesso da un’epoca all’altra nel solco dell’inerzia istituzionale, ma il vettore principale è mutato radicalmente. La verità è che Putin non ha alcun controllo sul futuro. Egli non ha affermato un’idea di Stato, non ha conferito un’espressione istituzionale al suo corso, non ha creato una nuova élite in seno allo Stato, non ha formulato un percorso strategico per la Russia. Ha detto e fatto cose diverse, alcune di successo e incredibilmente positive, salutari per la Russia, altre completamente disastrose e profondamente errate. Il bilancio complessivo dei pro e contro può essere effettuato in modi diversi. A mio parere, nel complesso gli elementi positivi superano di gran lunga quelli negativi. Putin ha salvato una Russia in bilico sul baratro, l’ha restituita alla storia. Questo è meraviglioso. Ma nessuno dei suoi successi ha raggiunto il punto di irreversibilità. Essi saranno tutti messi in discussione appena finirà il suo corso. Questa è una caratteristica così comune a tutti i suoi atti, che è del tutto evidente che egli non ha potuto o non ha voluto agire diversamente, né può e probabilmente vuole farlo nel tempo che gli rimane. Si tratta di una linea politica radicata e sostanzialmente ambigua.

Il moderno regime politico russo sviluppatosi sotto Putin rappresenta un compromesso. Un compromesso tra tutti i poli e le forze in seno allo Stato e alla società. Un regime stabile solo in virtù di Putin stesso, che rappresenta un compromesso tra patriottismo e liberalismo in economia, tra eurasiatismo ed europeismo nella politica internazionale [2], tra conservatorismo e progressismo nella sfera delle idee e dei valori, tra popolo ed élite, tra sovranità e globalizzazione, tra anni ’90 e non-anni ’90 (cioè un “qualcos’altro” che esula dal corso degli anni ’90). Ma questo compromesso sarà valido solo finché ci sarà Putin. È un qualcosa di intuitivo e autoritario, basato sul controllo manuale e sul costante aggiustamento del corso da parte di Putin stesso. Non si riflette in una strategia o in un progetto, e non si basa né sulla società nel suo complesso né sulle élite.

È significativo che, nonostante tutta la critica mossa agli anni ’90, Putin abbia lasciato intatti gli elementi principali del sistema vigente all’epoca. La costituzione, le élite, i partiti parlamentari, la struttura di governo, il sistema di istruzione e di informazione nel complesso sono rimasti gli stessi; l’unica differenza è che a giurare sulla costituzione vi è un altro governante. Gli elementi principali del sistema vigente sono stati adattati al patriottismo personale di Putin, organizzati conformemente al suo stile, ma non sono stati sistematicamente convertiti in una qualche idea intelligibile ed enunciata in modo chiaro. In un certo senso, il regime degli anni ’90, da cui tra l’altro ha origine Putin stesso, è sceso a compromessi con lui, e coloro che si sono rifiutati di farlo, restando fedeli all’occidentalismo radicale, all’ultraliberismo, al globalismo e alla russofobia, sono stati gradualmente estromessi. Putin ha chiesto lealtà alla sua persona, e chi si è dimostrato disposto ad assicurargliela, è stato lasciato in pace. Surkov stesso è un tipico esempio di membro della “famiglia” di Eltsin e stretto collaboratore degli oligarchi, uno dei primi ad accettare le nuove regole del gioco. Nel passato, Surkov ha cercato di assegnare al particolare compromesso rappresentato da Putin lo speciale nome di “democrazia sovrana” o lo slogan “libertà e giustizia”, ma anche questo non ha preso piede.

Naturalmente, rispetto agli anni ’90 Putin ha impresso molti cambiamenti. Ma tutto questo in effetti non ha inciso in alcun modo sulla struttura del regime politico.

Il futuro non appartiene a Putin

Il popolo, la società in senso lato, rappresenta un vettore generalmente organico di due valori principali: patriottismo e giustizia sociale. L’élite si situa esattamente nella posizione opposta: cosmopolitismo (occidentalismo) e libertà del grande capitale privato. Negli anni ’90, il governo nel suo complesso aveva assunto una posizione antipopolare. Putin ha in qualche modo cambiato questa formula, adottando una forma di patriottismo, apprezzato dalle masse, ma mantenendo un’impostazione liberale in economia, che era accettabile per le élite. Così, il popolo ha approvato Putin per quanto concerne l’impostazione patriottica, in controtendenza rispetto al regime degli anni ’90, ma ha mantenuto la propria avversione nei confronti delle élite e ha deplorato sempre più la totale assenza di giustizia sociale nel regime di Putin. Per questa assenza, il popolo giustamente biasima e maledice le élite, che identifica nel “circolo di Chubais”.

Questa è la struttura dello status quo o del compromesso di Putin. Il popolo soffre la mancanza di giustizia sociale e l’incredibile ampiezza della corruzione (di cui sono responsabili le élite) a scapito della componente patriottica (nella persona di Putin). Sebbene non particolarmente affidabile, il “sistema Putin” è durato per vent’anni, un periodo piuttosto lungo. Ma di questo lungo momento storico possiamo già iniziare ad intravedere la conclusione, che coinciderà con la fine del corso di Putin.

Putin è il compromesso. Dunque, quando egli se ne andrà, si dissolverà anche ogni compromesso. È evidente che le élite sono così scaltre e subdole che cercheranno subito di adattarsi ad un altro sistema, ma questo fondamentalmente non cancella il fatto che Putin non può influenzare in modo decisivo il futuro. In un certo senso, egli lo ha già influenzato. E questa influenza è stata decisamente positiva: egli ha mostrato che esiste un’alternativa al regime degli anni ’90, e tale alternativa è da ricercarsi sul piano del patriottismo (si consideri la seconda campagna cecena, il discorso di Monaco [3], “la Crimea è nostra” [4], ecc.). Questo, in effetti, è un grande risultato. Allo stesso tempo, tuttavia, bisogna mettere in evidenza come Putin non abbia formalizzato e istituzionalizzato in alcun modo questo patriottismo; egli non ha modificato le fondamenta dello Stato gettate negli anni ’90, non ha realizzato alcun avvicendamento in seno alle élite e ha ignorato la richiesta popolare di giustizia sociale. Nel complesso, il regime instaurato è, agli occhi del popolo, molto meglio di quanto non fosse negli anni ’90 (da qui la sua legittimazione), ma decisamente peggio di quanto sarebbe necessario. Fintantoché Putin rimarrà al potere, i suoi pregi metteranno in secondo piano queste carenze. Ma non appena egli andrà via, questo equilibrio fragile e piuttosto innaturale crollerà di colpo. A tale proposito, Surkov è in errore su De Gaulle: la legittimazione di quest’ultimo, fondata sul ruolo avuto nella Seconda Guerra Mondiale e nella Resistenza, è durata solo fino all’inizio degli anni ’70, cioè fino a quando è rimasto al potere, ed è crollata nel corso degli eventi del Sessantotto, che ha abolito il conservatorismo gollista in favore di un nuovo paradigma socialista. In seguito, di De Gaulle non sono rimasti che la nostalgia e i simulacri.

Pertanto, l’idea alla base dell’articolo di Surkov è profondamente errata. Il presente è subordinato a Putin, ma egli non ha creato alcun modello politico particolare; ha solo corretto le forme più mostruose della democrazia liberale filoccidentale instaurata negli anni ’90 in spregio alla volontà popolare. In altri termini, dal punto di vista politico, si tratta sempre dello stesso paradigma liberale, solo addomesticato da un sovrano autoritario con simpatie patriottiche e vagamente conservatrici. Per un nuovo modello politico, questo non è assolutamente sufficiente. Non vi è alcun bisogno di creare illusioni. Si tratta di un compromesso – in parte positivo e persino eccellente, ma in parte fallimentare e, soprattutto, reversibile e privo di un vettore chiaramente definito per il futuro storico. La figura personale di Putin ha un futuro, poiché la sua posizione è forte e solida (grazie al patriottismo e ai passi concreti effettuati in quella direzione), ma il regime russo moderno non ha alcun futuro. Per inciso, ciò non significa che lo stesso Surkov non ne abbia uno; egli potrà facilmente adattarsi a qualsiasi paradigma, come un efficace, puntuale e intraprendente manager, un tecnologo. Ma queste competenze non hanno nulla a che fare con la filosofia politica.

Dopo Putin, le élite perderanno legittimazione

Cosa farà seguito alla fine di Putin, che presto o tardi arriverà, nonostante l’immaginaria – e tanto desiderata dalle élite – “eternità”? Qui avremo a che fare con una contrapposizione diretta tra le rivendicazioni del popolo e i desiderata delle élite. Il popolo è vocato al patriottismo e parteggia per una vera giustizia sociale. Le élite, lasciate a loro stesse, senza Putin, molto probabilmente cercheranno di tornare al regime degli anni ‘90. Lo abbiamo visto sotto Medvedev: non appena Putin si è messo per un attimo da parte, Yurgens-Gontmakher ha esclamato “tornare all’Eltsinismo!” e Svanidze ha confessato che “è diventato più facile respirare”; e quando per uno come Svanidze è più facile respirare, significa che la puzza è diventata insopportabile…

Senza Putin, le élite e il potere in generale perderanno ogni tipo di legittimazione, come sotto Eltsin. Tuttavia, in tutti questi anni non sono state create strutture che riflettessero la posizione del popolo. Ciò in gran parte è dovuto alle peculiarità della società russa, ma in parte è dovuto anche alla strategia delle autorità (e, in particolare, dello stesso Surkov), le quali hanno sottoposto a repressione qualsiasi iniziativa popolare indipendente o l’hanno sostituita con dei simulacri privi di senso. Alcuni simulacri del “popolo” dell’élite sono stati approntati per il dopo-Putin, ma è improbabile che funzionino, dal momento che la questione principale sul destino della Russia dopo Putin si collocherà su un piano storico piuttosto che politico-tecnologico. Il popolo che richiede patriottismo e giustizia sociale si troverà in diretta opposizione all’élite che, seguendo Surkov, cercherà di costruire un “putinismo senza Putin”, che tuttavia in mancanza di Putin non potrà in alcun modo concretizzarsi. È assolutamente impossibile prevedere come andrà a finire tutto questo, ma certamente non quello che scriverà Surkov in merito. Naturalmente, egli per molti versi farà appello ai liberali dormienti e che vedono la fine di Putin precisamente come un ritorno agli anni ’90. Ma essi semplicemente non crederanno a Surkov, e forse è giusto così. Infatti, dal punto di vista delle élite russe, che si considerano parte dell’élite globale, è nel proprio interesse contenere il patriottismo, legarsi all’Occidente, cedere sovranità e sputare sulla legittimazione popolare (come pure sul popolo stesso). Affinché le élite credano nella serietà dell’imperativo patriottico, sono necessarie repressioni dimostrative molto più vaste e sistemiche (e non selettive) di quelle di Putin. Ma Surkov non dice nulla al riguardo. Al fine di preservare l’equilibrio in seno alla società nella prossima fase post-putiniana, è necessario lanciare un attacco contro le élite, imporne l’avvicendamento qualitativo, la loro pulizia, solo questo può mantenere un certo equilibrio. Lo stesso equilibrio esistente oggi in nessun caso si rafforzerà dopo Putin, anzi potrà solo indebolirsi. Di conseguenza, un conflitto risulta inevitabile.

La decisione del popolo russo

Se dalle élite fosse emerso un leader che si fosse rivelato ancor più radicale di Putin, che non solo ne avesse preservato e rafforzato la linea patriottica, superando una serie di compromessi infruttuosi (ad esempio nei rapporti con l’Ucraina), ma avesse anche attuato riforme nello spirito nazionale e sociale in politica interna, eventi aspri e traumatici avrebbero potuto essere evitati. Ma non vediamo una tale figura. Inoltre, al suo confronto, la figura stessa di Putin ne risulterebbe alquanto sbiadita, e per le élite rappresenterebbe una minaccia esiziale. Pertanto, è nel comune interesse di Putin e delle élite che una figura del genere non orbiti in prossimità delle stanze del potere. Lo stesso vale per una coerente ideologia nazionale dello Stato: il governo attuale ne è intimorito allo stesso modo in cui si teme il fuoco, giacché seguirla lo costringerebbe a confrontare le norme e gli ideali adottati da un lato, e le azioni concrete di alcuni politici dall’altro, il che metterebbe a nudo tutta l’inadeguatezza delle moderne élite. È sempre più facile adattarsi ad una personalità che a delle idee.

Alla luce di tutte queste considerazioni, possiamo delineare il seguente quadro. Surkov, e l’élite dominante da lui incarnata, stanno iniziando ad attuare il progetto dell’“eterno putinismo”, cioè la trasformazione dello status quo in una ripetizione infinita del medesimo, una sorta di “Ricomincio da capo”. Non si tratterà di un compromesso, bensì di un simulacro di compromesso, non del vivido e sincero patriottismo di Putin, anche se incoerente e non sistematico, ma della sua imitazione cibernetica. Il “nuovo Putin”, apparentemente, nello spirito delle avanzate tecnologie su cui l’amministrazione russa farnetica entusiasta, dovrebbe essere stampato con una stampante 3D. Ovviamente, qui l’onnipotenza della tecnologia è sopravvalutata, così come l’idiozia e la passività del popolo russo. Putin stesso ha mostrato che agli anni ’90 c’è un’alternativa, anche se non ha spiegato chiaramente in cosa consiste. A questo punto, la società può ben riflettere sul contenuto di questa alternativa e chiedere chiarezza in merito.

Se ciò non accadrà, il collasso dello Stato inizierà a un ritmo accelerato. Dopotutto, le relazioni con i soggetti della federazione, aventi una marcata specificità etnica, si basano su Putin e sulla sua linea dura e inflessibile a favore della sovranità russa. La minima esitazione in merito a questa questione getterebbe immediatamente tutto in una situazione simile a quella degli anni ’90 e renderebbe la disintegrazione della Russia nuovamente una minaccia abbastanza probabile.

In futuro avremo bisogno di non del putinismo, che non è possibile, ma di qualcosa di molto più consistente, potente, ricco e sistemico – una sorta di Super-Putin, che preservi in sé tutte le sue migliori ed eroiche qualità, ma che superi i suoi errori e le sue debolezze.

Traduzione di Donato Mancuso

 

[1] Vladislav Surkov, Dolgoe gosudarstvo Putina, Nezavisimaya Gazeta, 11 febbraio 2019 http://www.ng.ru/ideas/2019-02-11/5_7503_surkov.html. [NdT]

[2] Per “europeismo” si intende la visione dei liberali e degli occidentalisti, che considerano nella Russia un paese europeo da modernizzare e democratizzare secondo i canoni dell’Occidente. Una posizione diversa ed opposta è rappresentata dagli “eurasiatisti”, i quali ritengono invece che la Russia sia una civiltà distinta e separata da quella europea e occidentale: la Russia-Eurasia è una civiltà indipendente che possiede i suoi valori originali – valori connessi alla società tradizionale con un accento sulla fede ortodossa e sullo specifico messianismo russo – e ha i suoi legittimi interessi, perlopiù divergenti da quelli dei paesi occidentali. Cfr. Aleksandr Dugin, L’Occidente e la sua sfida, Geopolitica.ru, 13 ottobre 2018 https://www.geopolitica.ru/it/article/loccidente-e-la-sua-sfida. [NdT]

[3] Discorso tenuto da Vladimir Putin alla 43esima conferenza sulla Sicurezza a Monaco il 10 febbraio 2007. In questo discorso, Putin criticò la struttura unipolare del sistema mondiale contemporaneo e descrisse la sua visione del ruolo della Russia nel mondo. https://byebyeunclesam.files.wordpress.com/2008/02/il-discorso-di-monaco-di-vladimir-putin.pdf. [NdT]

[4] Крымнаш, letteralmente “la Crimea è nostra”, è un neologismo russo emerso nella primavera del 2014 nel contesto della discussione sociopolitica in merito all’adesione della Crimea alla Federazione Russa. [NdT]