La concezione sacrale degli spazi

La concezione sacrale degli spazi

Abbiamo definito l’argomento che abbiamo scelto per la nostra trattazione “la concezione sacrale degli spazi”. Come voi ben saprete, la scuola di pensiero del tradizionalismo integrale fonda sé stessa su una considerazione previa: le concezioni polarmente opposte che animano la dialettica dell’approccio dell’uomo alla realtà sono due, simmetricamente contrarie – la Tradizione e la Modernità. Per Tradizione intendiamo genericamente l’approccio “sacrale” al reale, una lettura simbolica del medesimo che, operando attraverso quello che Carl Schmitt definì in “Cattolicesimo Romano e forma politica” principio di rappresentazione, consideri il piano dell’immanente come riflesso speculare del mondo trascendente, così come espresso sistematicamente dalla filosofia platonica. Si sbaglierebbe però definendo il Tradizionalismo come branca filosofica generata dall’idealismo platonico perché, nella sua concezione ortodossa, esso si considera essere la scienza che studia la manifestazione dell’Uno preesistente nell’immanente – una rivelazione eterna – e le vie maestre per poter accedere alla sua esperienza diretta. L’approccio tradizionale può essere anche definito cosmologico. La Modernità invece rappresenta la cesura drastica con la concezione simbolica e spirituale dell’esistenza: la chiave di lettura che ne da non è più cosmologica, come è invece nella concezione tradizionale, bensì meccanica. Se il pensiero tradizionale è generalizzante, rappresentativo, universalizzante e sostanzialmente metafisico, il pensiero moderno, come suo opposto radicale, si manifesta come frammentario, meccanicista e tendenzialmente nichilista. Dico “tendenzialmente” nichilista perché, nel dischiudersi del fenomeno moderno, esso non esaurisce le sue possibilità (o almeno, noi non abbiamo avuto la fortuna di conoscere questo evento), ma approfondisce sé stesso, espandendo la propria influenza ed aumentando il grado di entropia che contiene, rivelandosi essere il tempo della Grande Confusione predetto da René Guénon. Più di un sociologo, tra i quali Jedlowsky, ci ha avvertito del fatto che la presunta post-modernità null’altro è che il fenomeno moderno che, negando solo in apparenza sé stesso, si frammenta e si espande, creando un nugolo di “diverse modernità”, apparentemente opposte e contrarie, in realtà tutte partecipi del medesimo progetto relativista e prospettivista che, in un’opposizione solo apparente alla prima manifestazione universalistica e razionalista della modernità, in realtà ne condivide la natura soggettivista e cartesiana. Il Professor Dugin, nel suo intervento alla conferenza internazionale moscovita “Contro il mondo post-moderno”, ha ben definito la post-modernità come la caduta orizzontale della Modernità, quindi l’espansione, l’ipertrofia del principio della Quantità che contraddistingue la Modernità stessa. Sempre il Professor Dugin ha sottolineato a più riprese la necessità di una restaurazione della categoria filosofica dell’oggettivo, in opposizione alla natura soggettivista della modernità: in effetti non è il solo che ha visto nell’universalismo e nell’oggettivismo marxista (oltre che nel rovesciamento della tripartizione idealista della manifestazione dello Spirito) un persistere di categorie di pensiero classiche e tradizionali. Cito in questo caso il filosofo italiano Costanzo Preve che, insieme a Domenico Losurdo, rappresentano la vera avanguardia neomarxista europea.

Se, come abbiamo detto, Modernità e Tradizione si oppongono totalmente (e non dialetticamente), ecco che entrambe proietteranno sé stesse su ogni fenomeno, perché in effetti, esse sono due vere e proprie chiavi di lettura totalizzanti. È evidente quindi che vi deve essere un approccio “sacro” (tradizionale e religioso) ed una “profano” (moderno e nichilista) anche alla concezione degli spazi, al significato dei luoghi, all’interpretazione provvidenziale delle aree geografiche. L’opera principale alla quale è necessario riferirsi quando si tratta di questa differenza di approccio è “Il sacro e il profano”, illuminante testo dello storico delle religioni Romeno, famoso per essere stato legato al movimento della Legione dell’Arcangelo Michele, successivamente docente universitario a Chicago, Mircea Eliade. In questo suo testo chiarificatore, egli sottolinea le differenze insopprimibili che intercorrono tra un homo religiosus ed un profano, tra un uomo della Tradizione ed un uomo della Modernità, nel modo di considerare il tempo, la vita, ed i luoghi. Ed è specialmente quest’ultimo argomento che a noi interessa in particolar modo.

Eliade parte da un assunto generale, che è alla base della considerazione del fattore spaziale dell’uomo religioso, l’uomo della Tradizione: il mondo non è reale. In questo senso, l’unica cosa che l’uomo tradizionale considerava reale era, invece, il Sacro. L’egemonica oggettività del sacro era ciò grazie alla quale l’uomo poteva rendere reale il Mondo. L’uomo Tradizionale era il vero conquistatore del mondo, il più autentico dominatore degli elementi (come egli si rappresentava, inscrivendosi nel pentacolo, che millenni dopo diverrà simbolo sacrale dell’Impero Sovietico), perché figlio degli Déi. L’antropocentrismo tradizionale, lungi dall’essere simile a quello illuminista, a differenza di quest’ultimo riconosceva il primato del Sacro, come unica verità incontrovertibile. Come per l’uomo, anche il creato doveva realizzarsi, “divenire ciò che si è”, esprimere quella che il neoplatonico Sant’Agostino definiva “la potenza” – l’essere in potenza. Ed era l’uomo, appunto, il “subcreatore” (per usare un’espressione di John Ronald Reuel Tolkien) che, consacrando i luoghi, li faceva divenire sacri, rendendoli al dominio luminoso dell’Essere, e partecipando della creazione di Dio. Sempre nella concezione agostiniana, difatti, l’unico bene immaginabile è l’adesione all’Essere (di cui il Sacro è la rivelazione), laddove il male è più profondo quanto più forte ne è la separazione. Anche oggi noi solchiamo terreni perennemente consacrati al Divino dai nostri padri, i cui spiriti, angeli e santi protettori intercedono perché questi non sprofondino nell’abisso della non-esistenza. La perenne conquista del Mondo dell’uomo tradizionale, quindi, passava attraverso la sacralizzazione del Mondo stesso. Lo sviluppo di questa verità metafisica si è attuato, dopo la Rivelazione di Cristo, nell’ideale dell’evangelizzazione o della Jihad. Utile in questo senso è ricordare che, per l’uomo tradizionale, essendo il mondo dello spirito più importante e più “vero” di quello materiale, la prima battaglia di conquista era combattuta strenuamente al livello interiore, una lotta all’ultimo sangue per uccidere il proprio Ego: era questo il simbolismo del quale tratta anche il Barone Julius Evola, al quale questo incontro è dedicato, della Grande Guerra Santa (per San Bernardo di Chiaravalle, uno dei grandi maestri del monachesimo occidentale, al quale si ispirano cistercensi e trappisti) o della Grande Jihad (per il Profeta Muhammad). La conquista spaziale orizzontale era qualitativamente inferiore a quella verticale, la conquista del proprio microcosmo, la sua cessione al dominio sovra individuale del Sé: la sacralizzazione di sé stessi. Come disse il Buddha: "Tra chi vince in battaglia mille volte mille nemici e chi soltanto vince se stesso, costui è il migliore dei vincitori di ogni battaglia". Qualitativamente inferiore, ma non meno importante, la conquista orizzontale, che Eliade identifica con il landname della tradizione germanica, era quel processo col quale l’uomo sottraeva i luoghi al dominio dell’acqua, dell’informe, del buio, per renderli a quello della terra, della forma, della luce. Lo stesso Eliade considerava questi due principi archetipici esistenti non solo sul livello orizzontale, ma anche su quello verticale. Il livello orizzontale è espresso dal concetto dell’axis mundi, dell’Asse del Mondo, il centro radicale del reale. Non è importante che l’asse del mondo sia unico a sé stesso, o situato in un luogo (se potesse davvero esistere …) che possa essere veramente definito il centro del Mondo. Nel Mondo della Tradizione tutto è relativo e tutto è assoluto, perché si è nel pieno del dominio del Simbolo. È nel tempio che l’uomo tradizionale istituisce il centro del proprio Mondo; è il tempio che rappresenta l’axis mundi. Non poteva essere altrimenti, per tutte quelle civiltà che vivono orientate verso il Sacro: il tempio è il loro punto di riferimento, come luogo dell’incontro tra la Terra ed i Cieli. Ma il tempio, essendo l’Asse del Mondo, non ha solamente la valenza di Scala Coeli, di Scala verso il Cielo: esso ricollega l’uomo anche alla polarità opposta, al mondo dell’informe, alle acque primordiali. È questa l’ambivalenza simbolica tra le cuspidi delle Chiese e le loro cripte. Il tempio è quindi ciò che, contemporaneamente, permette di ascendere al Cielo e trattenere le Acque. Esso ha sia una funzione mistica che una esorcistica.

È interessante vedere che tutti questi archetipi tradizionali noi possiamo riscontrarli anche in un pensatore sostanzialmente “laico”, sebbene personalmente molto religioso. Parliamo del già citato cattolico tedesco Carl Schmitt, una delle menti più acute del secolo trascorso, al quale lo studio del diritto ed addirittura la geopolitica devono molto. Egli ha affrontato il problema spaziale/territoriale in due sue opere, che ricordiamo essere “Il Nomos della Terra” e “Terra e Mare”, quest’ultimo scritto in forma di racconto. Egli individuava due fasi della storia della Civiltà, che rispettivamente definiva terricola e marittima, e che noi potremmo associare facilmente al Mondo della Tradizione ed alla Modernità. Secondo Schmitt queste due concezioni non sono legate solamente a limiti storici, ma anche a vincoli territoriali. È questo il motivo per il quale la concezione terricola è strettamente legata al blocco continentale Europeo ed Asiatico, laddove quella marittima appartiene alla Grande Isola, l’anglosfera che definisce il blocco anglosassone-statunitense. La prima concezione, quella terricola, è legata sostanzialmente ai principi tradizionali del Sacro (che in senso politico, si traspongono in comunità organica, gerarchia, legittimità, dominio della Forma e della Politica), la seconda invece si dimostra essere la manifestazione del profano (nelle sue espressioni sociali di individualismo, egualitarismo, dominio dell’informe ed assenza della norma). È qui che si dimostra palesemente quanto la contrapposizione di Terra consacrata ed Acque sia presente anche nel pensiero di Schmitt. Non è casuale nemmeno che la manifestazione della modernità avvenga gradualmente, attraverso la scoperta progressiva del nuovo mondo. Questo è un argomento che è stato approfondito, partendo dalla geografia sacra, dal Professor Dugin, e ne parleremo più tardi. La Norma si dimostra in Schmitt con la legittima appropriazione del territorio da parte di una comunità umana, che avviene appunto la consacrazione dello stesso: è qui che ritorna il concetto già citato di landname. Il landname ha validità però solo nella stabilità: è la stabilità che garantisce la legittimità della norma (per lo stesso motivo per il quale il non attenersi all’ordinamento giuridico preesistente durante una rivoluzione politica non è considerato illegittimo). Ecco allora che il landname ha senso solo nella prospettiva terrestre. Uno dei personaggi dai quali il pensatore tedesco è stato maggiormente ispirato fu il nobile spagnolo Donoso Cortés, erede di quello che fu l’ultimo baluardo contro l’incedere del potere Marittimo anglosassone, la Santa Spagna Cattolica. Cortés, diplomatico europeo di caratura immensa, uomo politico senza eguali e fine pensatore, conobbe bene la realtà delle rivoluzioni egualitarie del 1848 e gli ambienti della Restaurazione, considerando che intrattenne anche un epistolario con il Cancelliere Metternich. In lui, fiero oppositore della deriva anarchica Europea, Schmitt vide il difensore per eccellenza della Norma, della Legge. Come Schmitt, anche Cortés era alla ricerca di chi potesse arrestare l’incedere dell’anticristo, il processo di decadenza totale, il kat-echon, ruolo che nella tradizione russa è ricoperto dall’Imperatore, ed egli lo identificò (a torto o a ragione) in Napoleone III. Lo stesso Cortés definì l’Inghilterra “la Grande Meretrice” (ovvero, Babilonia), che, come ben saprete, nella simbologia apocalittica indica la madre dell’anticristo. Schmitt sottolinea a più riprese, in “Terra e Mare”, la natura genealogica che lega l’Impero Britannico agli Stati Uniti d’America. Il collegamento risulta allora molto semplice, in pieno accordo con tutto quel movimento di resistenza al Nuovo Ordine Mondiale che vede negli USA “il Grande Satana”. In Italia sono stati dedicati ben due libri all’insegnamento anti-mondialista che si può trarre dal Barone Evola, uno di Carlo Terracciano, conoscente ed amico del Professor Dugin, e l’altro di Pietro Carini. L’insegnamento di Cortés tra l’altro è legato profondamente all’opera maestosa del primo oppositore della Rivoluzione Francese (tappa centrale del processo sovversivo in Europa), Joseph De Maistre, ambasciatore della Savoia presso lo Zar. Lui ed il fratello Xavier s’impegnarono strenuamente al fianco della Russia nella lotta contro il giacobinismo, l’uno in senso politico, l’altro in senso militare.

Nell’approccio sacro allo studio degli spazi, non ci è possibile non ricordare il ruolo che ha svolto il qui presente Professore Aleksandr Dugin, un’importante mente del nostro secolo, che spazia dalla geopolitica alla filosofia, dalla sociologia alla metafisica. Egli, come ben spiega in più di un suo testo, si è profondamente impegnato per diffondere attraverso le sue opere quel legame stretto e diretto che si intreccia tra geopolitica e geografia sacra, partendo specialmente dalle teorie del geopolitico tedesco Karl Haushofer, colui che, sulla scorta dell’alpinista e stratega britannico Mackinder, teorizzava l’integrazione politica e militare del blocco continentale Europeo ed Asiatico (che lui definiva Heartland – Cuore delle Terra), contro l’integrazione uguale ed opposta della World-Island (l’Isola-Mondo anglo statunitense). Pur non definendo col termine guénoniano di “scienza sacra” la geopolitica, il Professor Dugin la inquadra nell’alveo di quelle pseudo-scienze che, per non essere state completamente razionalizzate, e preservando ancora un alto tasso di generalizzazione, mantengono vivi, anche se inconsapevolmente, quegli archetipi tradizionali di cui stiamo trattando. Nel suo testo “Dalla Geografia Sacra alla Geopolitica”, le cui tesi confluiranno successivamente ne “Il paradigma della Fine”, il Professore indaga innanzitutto il significato simbolico dei punti cardinali, nella contrapposizione geopolitica “est-ovest” e sociologica “nord-sud”. Est ed Ovest, nella dialettica geopolitica del mondo bipolare, costituiva chiaramente il binomio della contrapposizione mondiale della Guerra Fredda, oltre che due modelli differenti di approccio alla vita. Se da un lato l’Est rappresentava il “geometrico ordine” socialista, l’Ovest simboleggiava invece il modello edonista del capitalismo sfrenato. Con la caduta della contrapposizione dei blocchi, e la transizione poco stabile al mondo unipolare, questa differenza non si è placata, anzi, si è radicalizzata. Sebbene in apparenza anche l’Est del mondo sia stato influenzato dai dogmi moderni del progresso e dell’incremento economico esponenziale, non possiamo non notare come in esso stiano risorgendo (soprattutto grazie alla parziale indipendenza geopolitica di cui esso gode) quei modelli culturali fondamentali per una restaurazione integrale. L’opposizione Est-Ovest, nel pensiero duginiano, si rivela essere la manifestazione della contrapposizione dell’Est e dell’Ovest metafisici, o meglio, simbolici: l’eterna ambivalenza dell’apollineo sorgere del Sole e del suo sprofondare oltre le Acque occidentali. I termini della sfida tra i due poli diventano allora Ascesa e Declino, Nascita e Morte, Creazione e Dissoluzione. In più di un testo il Professore si è occupato anche del significato simbolico dei centri geografici che animano questa titanica sfida dei continenti. In due suoi lavori, pubblicati in Italia all’interno del volume “Continente Russia” , edito nel 1991, egli spiega limpidamente come, in una prospettiva sacrale e simbolica, la Siberia – centro del Continente – coincida in realtà con l’Iperborea, e l’America del Nord sia invece il corrispettivo della mitologica Isola dei Morti, la “terra verde” della mitologia egizia, la seconda Atlantide, il luogo delle pratiche degli osceni cargo-culti orgiastici. La seconda contrapposizione polare si identifica invece con Nord e Sud che, in una concezione profana di rovesciamento, rappresenterebbero la parte ricca e quella povera del globo, Primo e Terzo Mondo. Noi tutti conosciamo il simbolismo che nella vasta letteratura tradizionale permea i Poli, specialmente quello Nord. Il Nord, punto superiore dell’Asse del Mondo, altro non è che l’apice solare. Il Nord rappresenta la sovrabbondanza di ricchezza spirituale, lo stadio ultimo dell’Ascesi. Il Sud (da un punto di vista simbolico e non meramente geografico) ne rappresenta l’opposto. La mentalità profana, che in tutto opera il rovesciamento satanico dei significati, immanentizzando questa contrapposizione in un senso puramente geografico, l’ha riempita del significato di ricchezza e povertà materiali. Nella concezione tradizionale il Nordico è colui che ritorna ai ghiacci, colui che perde l’elemento passionale ed egoistico “troppo umano” e che trascende la dimensione umana per quella eroica. Già il razzismo bianco anglosassone o pangermanista, portato all’apice politico dall’Impero Britannico su scala coloniale globale, e dall’hitlerismo ideologico a livello Europeo, dimostrava gli elementi fondamentali di questo rovesciamento demoniaco – pur se preservando, nel secondo caso, alcuni elementi simbolici della Tradizione. Lo stesso Barone Evola scrisse molto sulla necessità di formare e creare una razza dello spirito, un’elite di aristocratici dello spirito. Il neopaganesimo hitleriano, al quale l’orientalista, storico delle religioni ed ex-tenente della SS italiana Pio Filippani Ronconi diede l’appellativo di “contro-iniziatico”, traspose tutto su un piano biologico, rovesciando la problematica. Il Professor Dugin ben spiega come, con la trasposizione orizzontale dei principi verticali, propria dell’Età del Ferro, l’archetipo nordico sia passato appieno all’Est, e viceversa, quello del Sud all’Ovest. L’abbassamento del Nord avrebbe comportato l’appiattimento dello schieramento solare sull’Est, l’innalzamento del Sud quello dello schieramento del declino sull’Occidente.

A nostro avviso, anche la cessione dell’Alaska polare da parte della Russia agli Stati Uniti, nel XIX secolo, rappresenta un passo verso la discesa verso Est del Nord spirituale. Non ci sarebbe da dubitare del fatto che, se l’Alaska fosse rimasta nelle mani dell’Impero Russo, il movimento bolscevico, ritempratosi presso i Ghiacci Eterni, avrebbe spinto le proprie orde sino alle porte della Patria del Capitalismo. Le sorti storiche sicuramente sarebbero state diverse. Eppure “le vie del Signore sono infinite”, e lo Spirito opera in modi misteriosi.

L’ideologia Eurasiatica ripresa dal Professor Dugin, ed adattata al contesto post-sovietico, rappresenta uno di questi modelli culturali alternativi, radicalmente veri, con i quali combattere strenuamente la Decadenza incombente, per colpirla al cuore, nelle sue contraddizioni più profonde, e superarla gloriosamente. Non c’è alcun dubbio che l’azione degli antimoderni giungerà al suo scopo perché, come pronunciato dal Papa Urbano II durante l’Appello di Clermont: “Deus vult!” – Dio lo vuole. L’Eurasia-Russia, perfetto centro del Continente, dell’Heartland, rappresenta oggi un faro di speranza per l’Est ed il Sud del Mondo, per gli Europei fieri delle proprie tradizioni e non allineati all’unipolarismo statunitense, non solo geopolitico, ma anche culturale, e per tutti quei Popoli liberi che subiscono il martirio da parte degli emissari della Decadenza. Penso, in questo momento, all’eroico popolo Siriano, una cittadella di Luce, dove i figli di Dio sciiti, cattolici e ortodossi stanno combattendo strenuamente le orde nemiche. L’Eurasia, nucleo di riconciliazione dei poli, porta del tempio di Giano che si schiude per generare l’Unità del reale, si dimostra così l’Axis Mundi globale, il tempio geografico, il punto di partenza per il landname totale, la sacralizzazione completa del Mondo, l’Era de