Le cinque lezioni di Carl Schmitt per la Russia: #5

Lezione n. 5: la “pace militante” e la teleologia del partigiano
Alla fine della sua vita (morì il 7 aprile 1985), Carl Schmitt dedicò particolare attenzione all’esito negativo della storia che, in effetti, è del tutto possibile se le dottrine irrealistiche degli umanisti radicali, degli universalisti, degli utopisti e dei sostenitori dei “valori umani comuni”, incentrate sul gigantesco potenziale simbolico di quella potenza talassocratica che sono gli Stati Uniti, raggiungono il predominio globale e diventano il fondamento ideologico di una nuova dittatura mondiale – la dittatura di una “utopia meccanicistica”. Schmitt credeva che il corso moderno della storia si stesse inevitabilmente muovendo verso quella che lui chiamava “guerra totale”.
Secondo Schmitt, la logica della “totalitarizzazione” delle relazioni planetarie a livello strategico, militare e diplomatico si basa sui seguenti punti chiave. A partire da un certo punto della storia, o più precisamente dall’epoca della Rivoluzione francese e dell’indipendenza degli Stati Uniti d’America, è stato avviato un allontanamento massimo dalle costanti storiche, giudiziarie, nazionali e geopolitiche che prima garantivano l’armonia organica del pianeta e servivano il “Nomos della Terra”.
A livello giuridico, iniziò a svilupparsi un concetto artificiale e atomizzante, quantitativo, di “diritti individuali” (che in seguito divenne la famosa teoria dei “diritti umani”) che sostituì il concetto organico di “diritti del popolo”, “diritti dello Stato”, ecc. Secondo Schmitt, l’impiego dell’individuo e del fattore individuale in modo isolato dalla nazione, dalla tradizione, dalla cultura, dalla professione, dalla famiglia, ecc. come categoria giuridica autonoma significava l’inizio della “decadenza del diritto” e la sua trasformazione in una chimera utopica ed egualitaria contraria alle leggi organiche della storia dei popoli e degli Stati, dei regimi, dei territori e delle unioni.
A livello nazionale, i principi organici federali imperiali vennero sostituiti da due concezioni opposte ma ugualmente artificiose: l’idea giacobina dello “Stato-nazione” e la teoria comunista del completo esaurimento dello Stato e dell’inizio dell’internazionalismo totale. Gli imperi che conservavano resti di strutture tradizionali e organiche, come l’Austria-Ungheria, l’Impero Ottomano, l’Impero Russo, ecc. cominciarono rapidamente a essere distrutti sotto l’influenza di fattori sia esterni che interni. Infine, sul piano geopolitico, il fattore talassocratico si intensificò a tal punto che si verificò una profonda destabilizzazione dei rapporti giuridici nella sfera dei “Grandi Spazi”. Notiamo che Schmitt considerava il “mare” come uno spazio molto meno suscettibile di delineazione e sistemazione giuridica rispetto alla “terra”.
La diffusione globale della disarmonia giuridica e geopolitica è stata accompagnata dalla progressiva deviazione delle concezioni politiche e ideologiche dominanti dalla realtà e dal loro divenire sempre più chimeriche, illusorie e infine ipocrite. Più si parlava di “mondo universale”, più si aggravavano le guerre e i conflitti. Più gli slogan diventavano “umani”, più la realtà sociale diventava disumana. È questo processo che Carl Schmitt ha definito l’inizio della “pace militante”, cioè uno stato in cui non c’è né guerra né pace in senso tradizionale. L’odierna “totalità” incombente, di cui Carl Schmitt aveva messo in guardia, è stata chiamata mondialismo. La “pace militante” ha ricevuto la sua completa espressione nella teoria del Nuovo Ordine Mondiale americano che, nel suo movimento verso la “pace totale”, sta chiaramente conducendo il pianeta verso una nuova “guerra totale”.
Carl Schmitt considerava lo sviluppo dello spazio cosmico come l’evento geopolitico più importante che simboleggia un ulteriore grado di allontanamento dall’ordinamento legittimo dello spazio, in quanto il cosmo è ancora meno suscettibile di “organizzazione” rispetto allo spazio marittimo. Secondo Schmitt, anche lo sviluppo dell’aviazione è stato un passo verso la “totalizzazione” della guerra, mentre l’esplorazione dello spazio ha dato inizio al processo di “totalitarizzazione” illegittima finale.
Parallelamente alla spinta del pianeta verso queste mostruosità marittime, aeree e persino cosmiche, Carl Schmitt, sempre interessato a categorie più globali, la più piccola delle quali era l'”unità politica del popolo”, venne attratto da una nuova figura della storia, quella del “partigiano”, al cui studio Schmitt dedicò il suo ultimo libro, La teoria del partigiano. Schmitt vedeva in questo piccolo combattente contro forze più grandi una sorta di simbolo dell’ultima resistenza della tellurocrazia da parte dei suoi ultimi difensori. Il partigiano è senza dubbio una figura moderna. Egli, come altri tipi politici moderni, è avulso dalla tradizione e vive al di là dello Jus Publicum. Nella sua lotta il partigiano infrange tutte le regole della guerra. Non è un soldato, ma un civile che utilizza metodi terroristici che, in una situazione non bellica, verrebbero equiparati a reati penali gravi simili al terrorismo. Tuttavia, è il partigiano che, secondo Carl Schmitt, incarna la “fedeltà alla terra”. Il partigiano è, in parole povere, una risposta illegittima alla sfida mascherata e illegittima della “legge” moderna. La straordinarietà della situazione e il costante addensarsi della “pace militante” (o “guerra pacifista”, che è la stessa cosa) attirano il piccolo difensore del suolo, della storia, del popolo, della nazione e delle idee della fonte della sua paradossale giustificazione. L’efficienza strategica del partigiano e i suoi metodi sono, secondo Schmitt, la paradossale compensazione della “guerra totale” iniziata o in corso contro un “nemico totale”.
È forse questa lezione di Carl Schmitt, che ha attinto molto dalla storia russa, dalla strategia militare russa e dalla dottrina politica russa, comprese le analisi delle opere di Lenin e Stalin, ad essere più intimamente comprensibile per i russi. Il partigiano è un personaggio integrante della storia russa che appare sempre quando la volontà dell’establishment politico russo e la volontà profonda dello stesso popolo russo vengono deviate al massimo. I tumulti e la guerriglia nella storia russa hanno sempre avuto un carattere puramente politico, di compensazione, volto a correggere la rotta della nazione quando la sua leadership politica si allontana sempre più dal popolo. In Russia, i partigiani hanno vinto le guerre che il governo aveva perso, hanno rovesciato le tradizioni non russe dei sistemi economici e hanno corretto gli errori geopolitici dei suoi leader. I russi hanno sempre posseduto un senso fine di quando l’illegittimità o l’ingiustizia organica è inerente a questa o quella dottrina che emerge attraverso questo o quel personaggio. In un certo senso, la Russia è un gigantesco Impero Partigiano che opera al di fuori della legge ed è guidato dalla grande intuizione della Terra, del Continente, di quel “Grande, Grandissimo Spazio” che è il territorio storico del nostro popolo.
Attualmente, poiché il divario tra la volontà della nazione e la volontà dell’establishment in Russia (che rappresenta esclusivamente lo “Stato di diritto” secondo il modello universalista) è minacciosamente grande e poiché il vento della talassocrazia sta intensificando l’ordinamento della “pace militante” nel Paese e sta gradualmente diventando una forma estrema di “guerra totale”, forse questa figura del Partigiano russo ci mostrerà la via verso il Futuro russo attraverso la forma estrema di resistenza, il superamento dei confini artificiali e delle norme giuridiche che non si accordano con i veri canoni della Legge russa.
Un’assimilazione più dettagliata della quinta lezione di Carl Schmitt implica l’assunzione della pratica sacra della difesa della terra.
Osservazioni finali
Infine, la sesta lezione fuori programma di Carl Schmitt può essere definita un esempio di ciò che il leader della Nuova Destra europea, Alain de Benoist, chiama “immaginazione politica” o “creatività ideologica”. La genialità del giurista tedesco sta nel fatto che egli non solo ha percepito le “linee di campo” della storia, ma ha anche ascoltato la voce misteriosa dell’essenza, anche se spesso nascosta dietro i fenomeni blandi e vuoti del complesso e dinamico mondo moderno. Noi russi dovremmo imparare dalla rigidità teutonica nell’inquadrare le nostre istituzioni senza fondo e sopravvalutate in formule intellettuali chiare, progetti ideologici chiari e teorie convincenti e avvincenti.
Questo è necessario soprattutto oggi, perché viviamo in “circostanze eccezionali”, alle soglie di una decisione così importante che la nostra nazione non ha forse mai visto in questo modo. La vera élite nazionale non ha il diritto di lasciare il suo popolo senza un’ideologia che spieghi non solo ciò che sente e pensa, ma anche ciò che non sente e non pensa, e ciò che è stato tenuto segreto a se stesso e devotamente venerato per migliaia di anni. Se non armiamo ideologicamente lo Stato, che “non nostro” potrebbe temporaneamente strapparci, allora dobbiamo necessariamente, senza dubbio, armare ideologicamente il Partigiano russo che oggi si risveglia per compiere la sua missione continentale in quelle che oggi sono Riga e Vilnius “anglicizzanti”, il Caucaso “annerente”, l’Asia Centrale “ingiallente”, l’Ucraina “polonizzante” e la Tartaria “dagli occhi neri”.
La Russia è un Grande Spazio la cui Grande Idea è portata dal suo popolo nel suo gigantesco e continentale suolo eurasiatico. Se un genio tedesco serve al nostro risveglio, allora i teutonici si sono guadagnati un posto privilegiato tra gli “amici della Grande Russia” e diventeranno “nostri”, “asiatici”, “unni” e “sciti” come noi – i nativi della Grande Foresta e delle Grandi Steppe.
Traduzione a cura di Lorenzo Maria Pacini