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Il problema del male e le prospettive della Quarta Teoria Politica

Il progetto Grande Europa, espressione del “Manifesto di Chisinau”, può e deve essere il punto di partenza fondamentale per il risveglio dei popoli europei condannati all’insignificanza politica da più di settanta anni di occupazione coloniale nordamericana. Privata di autonomia e della sua identità spirituale e culturale, l’Europa è vittima di un fenomeno di spoliticizzazione che ha deformato nelle fondamenta il concetto di politico e la dicotomia amico/nemico insita al suo interno. La deformazione liberale del linguaggio è la trappola che, secondo Carl Schmitt, ha ridotto l’idea di “nemico” alla mera competizione sul piano economico. L’individuazione nel liberalismo del “male” (in quanto scuola di pensiero volta alla negazione di affermazioni assolute), rende la Quarta Teoria Politica la base metafisica su cui impostare la propria lotta rivoluzionaria e culturale contro il mondo moderno. Una lotta che, parafrasando Martin Hedigger, più che limitarsi alla conservazione (fenomeno anch’esso prettamente moderno), deve assumere la modalità di un ritorno (Ruckker) alla località del superamento della metafisica: ovvero, laddove il pensiero europeo ha intrapreso la via della modernità.

Il filosofo e mistico russo Vladimir Solov’ev nell’introduzione al suo testo fondamentale I tre dialoghi e il racconto dell’Anticristo si interrogava su cosa realmente fosse il male e su cosa determinasse la sua presenza nel mondo. “Che cos’è il male? Soltanto un difetto di natura, un’imperfezione che svanisce da sé con l’accrescersi del bene, oppure una forza reale che domina il mondo attraverso le sue lusinghe cosicché per sconfiggerlo è necessario avere un appoggio in un altro ordine dell’essere?”

IL TERZO TOTALITARISMO

Quindi, il liberalismo è un’ideologia totalitaria e violenta, un mezzo per la repressione politica diretta e indiretta, per la pressione educativa e la feroce propaganda, che si autoproclama come non totalitaria, celando la sua vera natura. Questo è un fatto scientifico. Il concetto di terzo totalitarismo è del tutto coerente con la natura del liberalismo come concetto politico.

La Quarta Teoria Politica accetta pienamente questa nozione, in quanto permette di vedere il quadro completo che unifica tutte e tre le teorie politiche classiche della Modernità: a) liberalismo, b) comunismo e c) nazionalismo (fascismo). Tutte e tre sono totalitarie, sebbene in modo diverso. Allo stesso tempo, la Quarta Teoria Politica denuncia il carattere razzista di tutte e tre le teorie: il razzismo biologico dei nazisti, il razzismo di classe di Marx (evoluzione e progressismo universale) e il razzismo di civiltà, culturale e coloniale dei liberali (che era esplicito fino a metà del XX secolo e poi è diventato subliminale: vedi John Hobson in “The Eurocentric Conception of World Politics”). La Quarta Teoria Politica respinge tutti i tipi di totalitarismo: comunista, fascista e liberale. Il terzo totalitarismo (quello di tipo liberale) oggi è il più pericoloso, in quanto è quello che governa. Combatterlo è il compito principale.

La Quarta Teoria Politica offre una comprensione totalmente nuova del tutto e delle sue parti, al di fuori del contesto delle tre ideologie politiche della Modernità. Questa comprensione può essere chiamata un Mit-sein esistenziale. Ma in questa comprensione esistenziale dell’Essere (Dasein), non c’è l’esistenza atomizzata (la parte, l’individuo), né la somma degli individui (totalitarismo). Nella Quarta Teoria Politica, essere con gli altri significa esistere, costituire una presenza: una presenza viva di fronte alla morte. Noi stiamo insieme solo quando ci troviamo ad affrontare la nostra morte. La morte è sempre profondamente personale e, allo stesso tempo, in lei c’è qualcosa di universale, qualcosa che colpisce tutti. Pertanto, è necessario per noi parlare non di totalitarismo (una concezione meccanica che collega le parti e il tutto), bensì di un olismo esistenziale e organico. Il suo nome è il Popolo. Dasein existiert völkisch. Contro il “terzo totalitarismo”. Per un essere-per-la-morte. Mit-sein. Noi siamo il Popolo.

COUNTER-HEGEMONY IN THE THEORY OF THE MULTIPOLAR WORLD

Although the concept of hegemony in Critical Theory is based on Antonio Gramsci’s theory, it is necessary to distinguish this concept’s position on Gramscianism and neo-Gramscianism from how it is understood in the realist and neo-realist schools of IR.

The classical realists use the term “hegemony” in a relative sense and understand it as the “actual and substantial superiority of the potential power of any state over the potential of another one, often neighboring countries.” Hegemony might be understood as a regional phenomenon, as the determination of whether one or another political entity is considered a “hegemon” depends on scale. Thucydides introduced the term itself when he spoke of Athens and Sparta as the hegemons of the Peloponnesian War, and classical realism employs this term in the same way to this day. Such an understanding of hegemony can be described as “strategic” or “relative.”

In neo-realism, “hegemony” is understood in a global (structural) context. The main difference from classical realism lies in that “hegemony” cannot be regarded as a regional phenomenon. It is always a global one. The neorealism of K. Waltz, for example, insists that the balance of two hegemons (in a bipolar world) is the optimal structure of power balance on a world scale[ii]. R. Gilpin believes that hegemony can be combined only with unipolarity, i.e., it is possible for only a single hegemon to exist, this function today being played by the USA.

In both cases, the realists comprehend hegemony as a means of potential correlation between the potentials of different state powers. 

Gramsci's understanding of hegemony is completely different and finds itself in a completely opposite theoretical field. To avoid the misuse of this term in IR, and especially in the TMW, it is necessary to pay attention to Gramsci’s political theory, the context of which is regarded as a major priority in Critical Theory and TMW. Moreover, such an analysis will allows us to more clearly see the conceptual gap between Critical Theory and TMW.

Dalla Geografia Sacra alla Geopolitica

Nella rappresentazione bipolare “ricco Nord” – “povero Sud” esiste sempre una componente aggiuntiva che ha un significato autosufficiente e assai rilevante. E’ il “secondo mondo”. Con l’espressione “secondo mondo” si è convenzionalmente inteso contrassegnare il campo socialista integrato nel sistema sovietico. Questo “secondo mondo” non era né il presente “ricco Nord”, in quanto definiti motivi spirituali influenzavano segretamente l’ideologia nominalmente materialistica del socialismo sovietico, né il presente “Terzo Mondo”, dal momento che la piena attitudine allo sviluppo materiale, il “progresso” e altri principi solamente profani stavano alle radici del sistema sovietico. La geopoliticamente eurasiana URSS si trova sia sul territorio della “povera Asia” che sulle terre della sufficientemente “civilizzata” Europa. Durante il periodo socialista, la cintura planetaria del “ricco Nord” era interrotta nell’Eurasia orientale, complicando la chiarezza delle relazioni geopolitiche sull’asse Nord-Sud.
La fine del “Secondo mondo” come civiltà speciale lascia allo spazio eurasiano della vecchia URSS due alternative – o essere integrato nel “ricco Nord” (cioè, l’Occidente e gli USA) o essere gettato nel “povero Sud”, cioè raggiungere il “Terzo Mondo”. Come variante di compromesso, la separazione delle regioni (parte al “Nord” e parte al “Sud”) è anche possibile. Come sempre è stato nei secoli scorsi, l’iniziativa di redistribuzione degli spazi geopolitici in questo processo appartiene al “ricco Nord” che, usando cinicamente i paradossi dello stesso concetto di Secondo mondo”, fissa nuovi confini geopolitici e separa zone di influenza. I fattori nazionali, economici e religiosi servono ai mondialisti solo come strumenti della loro attività cinica dalle motivazioni profondamente materialistiche. Non è sorprendente che oltre la retorica del falso “umanitarismo”, saranno anche spesso e quasi apertamente usate le ragioni “razziste”, invocate per ispirare ai Russi un complesso di “bianca” superiorità nei confronti del sud asiatico e caucasico. A questo è correlato il processo inverso – il rigetto definitivo da parte dei territori meridionali del vecchio “Secondo Mondo” per il “povero Sud” si accompagna all’uso della carta delle tendenze fondamentaliste, dell’inclinazione del popolo alla Tradizione e del revival della religione.

DAL CUORE D’AMERICA A QUELLO D’EURASIA

E’ passato quasi un mese dall’azione dei martiri-suicidi contro le “Torri gemelle” e il Pentagono; 
cioè contro il cuore economico e quello militare strategico degli Stati Uniti d’America ed  è alfine scattata la promessa risposta contro i presunti finanziatori e mandanti della più clamorosa operazione contro la superpotenza imperialista. 
L’attacco americano all’Afghanistan, richiesto a gran voce dall’opinione pubblica americana e voluta dal governo per placare la sete di sangue e vendetta degli sconvolti cittadini in piena isteria nazional-sciovinista, comincia comunque a delinearsi chiaramente, se non nelle sue linee e metodologie direttive d’attacco,  perlomeno nei suoi obiettivi strategici e geopolitici a medio e lungo termine.  
Il paradosso dell’operazione consiste semmai nel fatto che la più grande potenza militare e atomica della storia, dotata di bombardieri “invisibili”, missili a guida laser, satelliti e ogni tipo di arma di distruzione di massa, non abbia obiettivi definiti da colpire, salvo l'aeroporto , contro uno dei paesi più poveri e disastrati della Terra, già ridotto ad un cumulo di macerie da 22 anni di guerre interne ed esterne, nonché da un rifiuto della moderna tecnologia delle comunicazioni che proprio nel contesto attuale si rivela provvidenziale per il paese degli integralisti talebani. 

La crisi del “vitello d’oro”

Questo sistema si caratterizza per aver raggiunto un distacco critico fra la massa finanziaria (includendo varie forme di titoli in valuta, di future, di derivati, ecc.) e i principî fondamentali della classica economia di mercato (equilibrio fra domanda e offerta o regole di mercato). L’economia attuale (“nuova economia”) è basata sull’assioma della “crescita infinita della macroeconomia”, secondo cui l’importo combinato della capitalizzazione delle imprese e del sistema dei titoli in valuta, delle opzioni e dei derivati ha raggiunto tale livello, allorquando la copertura reale dei prodotti dell’economia viene ad assumere dimensioni infinitamente piccole.

L’abnorme bolla finanziaria ha, di per sé, oscurato del tutto il settore reale. Fino al 2001 i segmenti indipendenti di questo settore reale – il campo delle alte tecnologie, dopo il 2001 – i prezzi dei beni immobili e dei mezzi energetici, e nel 2007 – dei prodotti alimentari – si sono trasformati in punti di connessione con il sistema finanziario ed a causa di questo, tali prezzi si sono staccati dal mercato delle regole (e più volte accresciuti).

La logica della “crescita infinita” è stata sostenuta dagli economisti monetaristi liberali sulla base di costruzioni matematiche (nella fattispecie da due autori – R. Merton e M. Sholes – cui è stato attribuito il premio Nobel per il fatto di aver dimostrato “scientificamente” che ciò che oggi sta accadendo nei mercati non può accadere in teoria). In pratica questa sperequazione fra la “nuova economia” finanziaria e l’economia reale ha dei limiti concreti.

IL “FINANZIARISMO”, STADIO SUPREMO DEL CAPITALISMO

Il capitalismo finanziario rappresenta una variante casuale della sostanza comune dello sviluppo del sistema capitalistico? Oppure è l'estrema incarnazione di tutta la sua logica, il suo trionfo?

La risposta a questa domanda non si trova nei classici del pensiero economico, dato che il loro orizzonte era limitato alla fase industriale dello sviluppo, la tendenza generale e la pregnanza di senso economico della quale essi (soprattutto i marxisti) indagarono in modo corretto e completo. 

La società postindustriale costituisce per molti aspetti una realtà oscura. Nel suo studio non esistono classici riconosciuti, sebbene molti autori abbiano gettato uno sguardo molto approfondito su questo fenomeno. Allora, comprendere il "finanziarismo" tocca proprio a noi, che ci piaccia o no.

Perfino per potersi accingere ad un'adeguata disamina di questo tema, occorre gettare uno sguardo sulla storia del paradigma economico, ritrovarvi il posto del "finanziarismo" non semplicemente dal punto di vista della cronologia quantitativa, bensì dal punto di vista della rilevanza qualitativa di questo fenomeno nel contesto generale dello sviluppo dei modelli economici.

Ma già qui, allo stadio zero di impostazione del problema, ci imbattiamo in un'incertezza, che erode il quadro dell'analisi. Esiste davvero un'unica storia dell'economia?  Una tale storia è esistita, per di più in due (o tre?) versioni alternative. Questa storia dell'economia è riconosciuta così da posizione liberale (il capitalismo è l'espressione del moderno e più progressivo paradigma dell'economia), come da posizione marxista (il socialismo e il superamento del capitalismo sono il moderno e più progressivo paradigma dell'economia). Vi fu ancora un terzo indirizzo (cioè la "eterodossia economica"), la quale in assoluto rifiutava di valutare il paradigma economico secondo questa rozza formula (progressivo - non progressivo) come gli economisti classici. Ma questa scuola economica della "terza via" (della quale ho esposto una relazione nel quadro della "Collezione Economico-Filosofica"), nonostante la presenza nei suoi ranghi di economisti e filosofi di alta classe, rimase marginale. 
  

Il paradigma della fine

 

L’analisi delle civiltà, delle loro correlazioni, del loro confronto, del loro sviluppo, della loro interdipendenza, è un problema talmente difficile che, a seconda del metodo impiegato e del livello di approfondimento della ricerca, è possibile ottenere risultati non solo differenti ma assolutamente opposti. Pertanto, persino per ottenere la più approssimativa delle conclusioni, si deve applicare il metodo riduzionista: vale a dire, ridurre la varietà dei criteri ad un unico modello semplificato. Il Marxismo preferisce il semplice approccio economico, che diventa il sostituto ed il comune denominatore di tutte le altre discipline. Lo stesso compie (seppure in modo meno esplicito) il Liberalismo.

La geopolitica, che rispetto alla varietà degli approcci economici è un metodo meno conosciuto e meno popolare, ma non meno efficace ed evidente nello spiegare la storia delle civiltà, suggerisce un metodo di riduzione qualitativamente diverso. Un altra versione del riduzionismo sta nelle diverse forme di approccio etico, che comprende le “teorie razziali” come suo aspetto estremo.

 

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