HEIDEGGER, L’ISLAM E LA QUARTA TEORIA

Riguardo al rapporto che può e deve intercorrere tra Islam e Quarta Teoria Politica si pongono alcuni problemi di natura teorica superabili attraverso il cammino del pensiero. Tali questioni si collocano essenzialmente nella sfera del Soggetto, sul concetto di reversibilità del tempo e sulla localizzazione spazio-temporale dell’Ereignis-Evento inteso come “nuovo apparire divino”: ovvero il passaggio nell’ambito di una nuova dedizione dell’Essere attraverso la quale risplenderà ciò che realmente è. Un simile percorso speculativo dell’intelletto necessita di una premessa fondamentale.

Il prof. Claudio Mutti, nella sua opera Esploratori del Continente, riporta il fatto che durante la conferenza, tenutasi a Teheran nel 2005, sul tema “Heidegger e il futuro della filosofia in Oriente e in Occidente”, il prof. Shahram Pazouki stabilì un confronto tra il filosofo e mistico persiano medievale Sohrawardi (lo Shaykh al-Ishraq – colui che sviluppò il concetto di Oriente interiore, simbolo della luce della sapienza in opposizione all’oblio occidentale, luogo delle tenebre della materia) e il filosofo tedesco, indicando la gnosi islamica e la filosofia di Heidegger come i mezzi ideali per la comunicazione spirituale tra l’Asia e l’Europa[1].

É stato lo stesso Heidegger a riconoscere come il confronto con l’asiatico fu per il Dasein greco una profonda necessità. E tale confronto, oggigiorno, rappresenta in maniera assai diversa ed entro un orizzonte molto più ampio la decisione sul destino dell’Europa[2].

Il filosofo tedesco era dunque consapevole del fatto che il profondo declino spirituale dell’Europa, esito nefasto dell’imborghesimento del cristianesimo, oramai espressione di religiosità convenzionale priva di una fede viva[3], avrebbe dovuto in qualche misura confrontarsi con un’ampia dimensione geografico-spaziale ancora pervasa di profonda spiritualità, nonostante il pernicioso influsso che il nichilismo occidentale iniziava ad esercitare su di essa. Una prospettiva non dissimile da quella del precursore dell’eurasiatismo Konstantin Leont’ev, che nella sua fondamentale opera Bizantinismo e mondo slavo affermava: “Il cristianesimo attuale si presenta non più come un insegnamento divino, terribile e consolatorio allo stesso tempo, ma come un balbettio infantile, un’allegoria, una favola morale che bisogna giudiziosamente interpretare nell’ambito dell’utilitarismo economico e morale”[4]. Fervente cristiano ortodosso, Leont’ev, già sul finire del XIX secolo, consapevole del negativo influsso che la mentalità antitradizionale proveniente dall’Europa moderna, avrebbe esercitato sulla società russa, indicò in una potenziale alleanza tra Ortodossia ed Islam una barriera capace di ostacolare il fenomeno disgregatore nichilistico dell’Occidente. Sempre in Bizantinismo e mondo slavo afferma: “Per noi russi è più conveniente una fusione con i popoli asiatici e di religione non cristiana per il semplice fatto che tra di essi non è ancora irrimediabilmente penetrato il moderno spirito europeo”[5]

Tale idea è stata raccolta ed attualizzata dal filosofo russo Aleksandr Dugin che, a più riprese, ha riaffermato il valore dell’Islam come bastione della Tradizione e la necessità di una “nuova alleanza” (novyj sojuz)[6] tra Ortodossia e Islam; due tradizioni che hanno legittimamente ereditato l’essenziale delle forme tradizionali eurasiatiche[7]

Tale prospettiva è stata fatta propria da diverse personalità della cultura islamica. Il filosofo musulmano russo, di  origine azera, Gejdar Dzemal (già leader del Partito della Rinascita Islamica e studioso di René Guénon e Julius Evola, scomparso l’anno passato) è stato un sostenitore di questa prospettiva. Egli intravedeva nell’alleanza strategica tra Ortodossia ed Islam un potente fattore di opposizione all’imperialismo economico ed all’egemonia culturale nordamericana[8]. Lo Shaikh Imran Hosein, invece, sulla base dei primi versi della sura coranica Ar-Rum[9], ha mostrato, in aperto contrasto con la volgare esegesi di molti teorici gihadisti, come tale alleanza non solo non sia in contrasto con la Rivelazione coranica ma come lo stesso Profeta Muhammad ne fosse sostenitore in quanto simpatizzante della cristianità bizantina nello scontro che questa si trovava ad affrontare contro l’Impero persiano sasanide. La cristianità orientale, nell’ottica dello Shaikh, al contrario di quella occidentale, non si è macchiata del tradimento che ha portato alla creazione dell’entità sionista nel cuore del Levante e dunque all’occupazione di Gerusalemme da parte dei “nuovi crociati”. E la cristianità orientale non si è mai lasciata travolgere dalla retorica umanitaria che ha sostituito al primato della Verità rivelata quello della dignità umana espresso dalla imposizione su scala globale della sovversiva ideologia diritto umanista. In questo contesto appare di particolare interesse l’identificazione, elaborata dallo Shaykh Hosein, delle malvagie genti di Gog e Magog con i sionisti europei, portatori di tratti fenotipici differenti rispetto alla stirpe semitica indigena del Levante, la cui giustificazione biblica all’occupazione di al-Quds nasconde più che evidenti obiettivi profani se non, addirittura, la manifestazione apocalittica del falso messia (il Dajjal –  il mentitore – figura centrale nell’escatologia islamica) degli ultimi giorni[10].

Ora, se Heidegger riconobbe la necessità storico-filosofica dell’incontro-confronto con l’Oriente spirituale e, per certi versi, la possibilità che la parusia dell’Essere si potesse eventuare in una dimensione geografico-spaziale estranea a quella tradizionalmente euro-centrica; allo stesso tempo, lungi comunque dal paventare ipotetici “scontri di civiltà”, riconobbe la possibilità dell’incomprensione che suddetto incontro avrebbe potuto produrre. Nella lettera-saggio La Questione dell’Essere, scritta in risposta ad Oltre la Linea di Ernst Junger, Heidegger afferma: “nell’ambito del costruire planetario, sono imminenti degli incontri a cui coloro che vanno incontro non sono affatto pronti. Questo vale in ugual misura sia per il linguaggio europeo sia per quello asiatico-orientale e soprattutto per l’ambito del loro possibile dialogo”[11]. Lo stesso Junger si rese conto del fatto che con lo spodestamento dei valori supremi qualsiasi cosa potesse assumere un’illuminazione ed un significato liturgico, facendo così prosperare sette e visioni del mondo proprie di apostoli senza missione[12]. É la scomparsa del meraviglioso; esito inevitabile della commistione tra nichilismo e frenesia della tecnica, propri dell’universalismo anglo-americano, che determina la perdita delle radici: lo sradicamento. A questo sradicamento sono dovute talune aberrazioni ideologiche venutesi a sviluppare nel momento in cui la penetrazione imperialistica e culturale dell’Occidente nel mondo islamico si è fatta particolarmente aggressiva. Di fatto, il riformismo islamico sunnita, una corrente di pensiero nata sul finire del XIX secolo sulla base di un presunto iter ad fontes dell’Islam (Corano e Sunna profetica), sull’idea di un nuovo sforzo interpretativo attraverso la riapertura delle porte dell’igtihad[13] e sull’idea della pedissequa imitazione dei “pii antenati” (as-salaf as-salihin – ovvero la prima generazione di credenti e compagni del Profeta) come unica via per affrontare la modernità, attraverso un altrettanto pernicioso tentativo di “islamizzare la modernità” senza comprenderne l’essenza, ha stravolto la Tradizione islamica. A ciò si aggiunge il fatto che il processo di codificazione della Sharia, imposto nell’ambito del sistema coloniale, ne abbia radicalmente inquinato l’essenza rendendola inautentica. E la sua stessa implementazione negli angusti confini dello Stato moderno risulterebbe oltremodo ambigua in quanto ne andrebbe ad inibire l’intrinseco valore universale[14]. L’idea della necessità della creazione dello Stato islamico attraverso il gihad, basato sull’implementazione della Sharia, sul concetto di shura (consultazione) e hakimiyya (intesa come sovranità di Dio), sviluppata nella metà del XX secolo dal teorico pakistano Abu l-A la Maududi (riferimento ideologico della dittatura militare-islamista di Zia ul-Haq in Pakistan; colui che, col decisivo contributo di CIA, Mossad, e monarchie del Golfo, fornì rifornimenti e retrovie sicure alla guerriglia gihadista che si opponeva al governo filo-sovietico dell’Afghanistan)[15] e dall’egiziano Sayyid Qutb (leader dell’organizzazione massonica transnazionale nota come Fratellanza Musulmana)[16], rappresenta, in una prospettiva prettamente islamica, una contraddizione in termini in quanto: in primo luogo nega l’idea comunitaria tradizionale della “Umma”; in secondo luogo perché lo Stato è una categoria politica propria della storia occidentale moderna che nulla ha a che vedere con la storia dell’Islam[17]. E lo stesso termine Stato (dawla) in arabo possiede l’accezione prettamente negativa di alterna circolazione del potere e della fortuna[18]. Tuttavia, gli esiti più nefasti di questo processo di negazione della Tradizione si sono sviluppati nell’istante in cui le potenze imperialistiche hanno intuito il potenziale di sfruttamento geopolitico dei movimenti politici militanti che si rifacevano agli ideali salafiti. In particolar modo la Fratellanza Musulmana (organizzazione massonica tanto negli obiettivi quanto nella struttura) ebbe un ruolo di rilievo nell’opposizione al nasserismo in Egitto (compreso un tentativo di assassinio del rais non andato a buon fine). E la stessa Fratellanza ebbe un ruolo determinate, sotto spinta del Mossad e dei servizi segreti occidentali, nella rivolta di Hama del 1982 contro il presidente siriano Hafiz al-Assad[19]

Un discorso a parte lo merita il wahhabismo che, seppur teoricamente sviluppatosi in un contesto temporalmente e spazialmente lontano dalla penetrazione imperialistica e culturale occidentale, solo grazie al cospicuo aiuto britannico, ed al terzo tentativo (per quasi 150 anni è rimasto un fenomeno circoscritto alle regioni desertiche del Najd), è riuscito a dare concretezza alla sua progettualità politica e di riforma religiosa[20]. Nato sotto la spinta del teologo hanbalita Muhammad Ibn Abd al-Wahhab (1703-1792), tale movimento di riforma si imponeva per il suo radicale rifiuto della Tradizione islamica precedente. La teologia wahhabita è estremamente semplice e di fatto rappresenta una sorta di deriva a-culturale dell’Islam. Si basa nell’enfasi riposta sul tawhid (l’unicità di Dio), sull’obbligo del gihad, e sul severo rispetto dei cinque pilastri dell’Islam. Il wahhabismo si pone in aperto contrasto con ogni impostazione teologica “altra” rispetto al sunnismo e nel rifiuto totale di tutto ciò che viene interpretato come bid’a (innovazione biasimevole). Infatti, prima ancora che scagliarsi contro sufismo e sciismo, l’opera di al-Wahhab era rivolta agli stessi sunniti irrispettosi della Sharia[21].

Questo atteggiamento determinò la violenta condanna di tutte le istituzioni tradizionali dell’Islam che rivolsero al wahhabismo l’accusa di sostenere una teodicea antropomorfista estranea alla tradizione sunnita. Di fatto i wahhabiti vennero paragonati ai qarmati (un gruppo ismaelita estremista e millenarista che diede vita ad una sorta di repubblica utopica intorno al 900 d.C.), ai kharigiti (ex partigiani del califfo Ali), e vennero accusati di usare totalmente a sproposito l’anatema (takfir) contro tutti gli altri musulmani[22]: accuse che non si discostano da quelle che oggigiorno vengono mosse dalle stesse istituzioni islamiche ufficiali, Università di al-Azhar in primis, nei confronti dei gruppi terroristici legati all’ISIS o al qaidismo. 

La relativa pochezza della teologia wahhabita diventa ancor più evidente quando si rapporta alla tradizione sufi o alla gnosi sciita. La radicale negazione dell’esperienza mistica nell’Islam, di fatto, non è indirizzata verso presunte forme di idolatria pagana ma verso la cultura e la sapienza in generale. René Guénon ha dimostrato come, al contrario di quella che è l’interpretazione etimologica generalmente accolta, il termine sufi non deriverebbe da suf (lana – indicante il tessuto grezzo da cui sarebbe stato composto il vestito degli iniziati islamici), ma bensì dal termine greco sophos (saggio) e dal termine arabo safà (purezza)[23]. Una simile forma di sincretismo culturale eurasiatica, volta a sottolineare l’amore per la sapienza identificata dall’unione mistica col divino, non può che essere apertamente osteggiata da una corrente teologica la cui peculiarità sta proprio nel rifiuto della cultura tradizionale e nella profanità dei suoi obiettivi. 

È dunque evidente che articolare un progetto politico e culturale sulla base di una comune identità  tradizionale richieda una approfondita disamina di ogni aspetto teologico e geopolitico che caratterizza l’odierno panorama del continente eurasiatico. Lo stesso Julius Evola, seppur nel contesto della cosiddetta “guerra fredda araba”, e nella prospettiva di contenimento della diffusione del comunismo, cadde nell’errore di identificare il wahhabismo saudita come espressione dell’Ortodossia islamica[24].

In quanto movimento riformatore che si oppone alla Tradizione, il wahhabismo non è capace di apprendere appieno l’intrinseca incompatibilità della stessa Tradizione islamica con il fenomeno dell’americanismo ed il colossale potenziale epistemologico della geopolitica con il suo connaturato portato residuale della geografia sacra. Di conseguenza non può che porsi in una posizione di contrasto rispetto a forme di civilizzazione dall’intrinseco carattere tradizionale.

La propaganda culturale wahhabita, volta all’auto-rappresentazione come autentica Ortodossia islamica sunnita, ha ulteriormente inquinato la genuinità tradizionale della Rivelazione profetica muhammadica.

L’asse geopolitico Mosca-Teheran[25], in questo contesto, non rispecchia solo il comune obiettivo di liberare la fascia costiera dell’Eurasia dall’egemonia nordatlantica e dai suoi avamposti. Essa è l’ineluttabile prodotto del matrimonio tra due forme di cultura tradizionale che nel passato si materializzò attraverso l’unione mistica tra la principessa bizantina Narciso (Narkes Khatun) e l’undicesimo Imam Hasan al-Askari. Una unione che diede alla luce Muhammad al-Mahdi: colui la cui Manifestazione (zohur) rinnoverà il mondo[26].

 

La questione del Soggetto

 

Nel saggio Le radici metafisiche delle ideologie politiche, Aleksandr Dugin propone “in nuce” la dottrina sul Soggetto delle tre ideologie politiche classiche che successivamente svilupperà in senso compiuto all’interno dell’elaborazione teorica della Quarta Teoria Politica con l’obiettivo di individuarne, a sua volta, il Soggetto.

Nella prospettiva del filosofo russo sono i concetti religiosi e metafisici a determinare in modo diretto o indiretto, positivo o negativo, lo specifico delle varie piattaforme politiche. Dugin afferma:“Siamo convinti del fatto che le fonti delle politica e del pensiero politico umano traggano origine dall’ambito metafisico”[27]. Vengono individuate tre direttrici metapolitiche lungo le quali le principali ideologie si sono sviluppate: “Destra assoluta (Soggetto domina sull’Oggetto – storia come decadenza e necessita di restaurazione escatologica del Paradiso); Centro assoluto (Soggetto e Oggetto uniti – storia come stabilità permanente e necessità di conservare l’equilibrio tra materia e spirito); Sinistra assoluta (Soggetto subordinato all’Oggetto – storia come progresso e necessità di contribuire alla sua continuazione ed accelerazione)”[28]

La Destra assoluta deriva da una visione polare-paradisiaca che afferma l’esistenza di un Soggetto Divino (o divinizzato) avente sede nel centro (nel Polo) del cosmo, che è sacro ed a lui totalmente sottomesso. Egli è assolutamente libero ed inseparabile da Dio. “La dove sorge tale ideologia appare in primo piano il tema del Soggetto Divino – dell’Eroe, dell’Epifania divina, dell’Imperatore sacro, del Capo angelico e del Profeta”[29]. Tale cosmovisione si orienta normalmente in senso monarchico, o nell’esaltazione della figura dello Statista, e nell’estensione orizzontale del potere del monarca o capo “divinizzato” attraverso l’espansione imperiale che pone sotto il suo dominio la massima quantità possibile di spazio cosmico trasformandolo in Paradiso (sacralità dell’impero e sua universalità)[30]. La gnosi sciita, carica di rimandi alla Tradizione iranica preislamica e centrata sulla figura dell’Imam occulto, è intrinsecamente legata ad una visione del cosmo di tipo polare-paradisiaca.

L’idea di Centro assoluto è invece collegata ad una prospettiva puramente conservatrice che si fonda sulla dicotomia creatore/creazione. Tale prospettiva si esprime attraverso le organizzazioni della Chiesa cattolica o della Umma islamica (soprattutto sunnita). Questa ideologia si basa sull’idea del Paradiso perduto che colloca il Soggetto non nel centro del Polo ma al di fuori di esso, “identificando il mondo non con il Paradiso ma con la creazione che separa il Soggetto dal creatore”[31]. Tale Soggetto è concepito come un Soggetto Esule che soffre della colpa del peccato originale.

La terza posizione rifiuta tanto la cosmovisione polare-paradisiaca quanto la dicotomia creatore/creazione. Essa su una prospettiva di puro ateismo pone enfasi sull’idea di evoluzione come progressivo e unidirezionale miglioramento della qualità del cosmo.

Lungo queste tre direttrici metapolitiche si sono sviluppate le tre ideologie classiche: liberalismo, fascismo (anche nella sua variante del nazionalsocialismo) e comunismo. La Quarta Teoria Politica si pone in radicale antitesi con le tre teorie precedenti. Tuttavia è il liberalismo, come discorso politico dominante e come prodotto della globalizzazione unipolare volta al dispiegamento su scala mondiale dell’etnocentrismo anglosassone, ad essere il principale nemico. In ognuna di queste tre ideologie è presente un chiaro e definito Soggetto storico. Il Soggetto nel liberalismo è l’individuo ed il suo scopo è la liberazione da ogni identità sociale o collettiva (etnica, religiosa, nazionale) percepita come imposizione e restrizione alla sua volontà[32]. Il Soggetto storico del comunismo è la classe e la stessa storia è conflitto di classe. E l’individuo ha esistenza solo sviluppando coscienza di classe. Mentre il Soggetto storico del fascismo è lo Stato (o la razza nella sua variante nazionalsocialista, anche se la stessa Germania tendeva ad identificare il Reich – Impero – con lo Stato tedesco[33]). Tale concezione deriva dalla posizione della cosiddetta destra hegeliana (a cui il filosofo neo-idealista Giovanni Gentile si ispirò) secondo la quale lo Stato prussiano rappresentava il picco dello sviluppo storico e la perfetta realizzazione dello spirito nazionale[34]. Una simile posizione non differisce da quella dell’attuale governo dell’AKP in Turchia. Infatti, diversi esponenti del Partito al potere hanno spesso sottolineato l’influenza che il pensiero di Hegel ha esercitato sullo sviluppo della progettualità politica volta alla consacrazione di una forma di Stato etico su basi islamiche in Turchia[35].

Dal canto suo il Soggetto proprio alla Quarta Teoria Politica, in opposizione alle precedenti teorie, può e deve essere il Dasein (l’esser-ci heideggeriano) in quanto concetto capace di intraprendere un mutamento – momento cruciale in cui si impone una scelta decisiva – nella speculazione filosofica sul senso temporale proprio dell’Essere. Le ideologie precedenti hanno alienato, ognuna a modo suo, il Dasein dal suo reale significato; l’hanno ristretto ed imprigionato rendendolo inautentico. “La libertà del Dasein consiste nell’implementare l’opportunità dell’esistenza autentica”[36]. Il concetto di Dasein, sul quale Martin Heidegger ha sviluppato una completa storia della filosofia, fornisce una fondamentale struttura ontologica sviluppata sulla base dell’antropologia esistenziale. E la Quarta Teoria Politica si pone come teoria ontologica fondamentale che contiene la consapevolezza della Verità dell’Essere nel suo nucleo centrale. La scelta del Dasein come Soggetto impone una vera e propria rivoluzione epistemologica volta a recuperare la primordiale interpretazione dell’Essere e la sua autentica esperienza nascosta dall’oblio dell’Essere (Seinsvergessenheit), dalla sua dimenticanza che è l’essenza stessa, o meglio il suo stravolgimento in antiessenza, della metafisica occidentale palesatasi nella parola di Nietzsche “Dio è morto”[37]. Scrive Heidegger nel saggio La Questione dell’Essere: “Il pensiero per corrispondere al superamento della metafisica deve prima chiarire l’essenza della metafisica […] Invece di voler oltrepassare il nichilismo dobbiamo prima raccoglierci nella sua essenza. Questo raccoglimento (Einckehr) nella sua essenza è il primo passo mediante il quale lasciamo il nichilismo alle nostre spalle”[38]. E questo raccoglimento è il primo passo per aprirsi alla chiamata dell’Essere; unica via attraverso la quale si potrà corrispondere all’Evento in cui si manifesterà nuovamente il Divino. Il Dasein impone la trasfigurazione dell’uomo ed il suo ricongiungimento alla dimensione del sacro: una conquista e riappropriazione dell’ordine sovrannaturale attraverso l’identificazione di Essere e divenire. Il Dasein come Soggetto si pone dunque nell’ambito della cosmovisione polare-paradisiaca. Egli è un Soggetto partecipe del Divino, ed in quanto tale, di fronte alla constatazione dell’allontanamento dalla norma, tende a ristabilire l’ordine; a riappropriarsi della dimensione del sacro, e dunque a preparare la via per il nuovo Avvento. Il Soggetto Divino, allo stesso tempo, non può essere in alcun modo espulso dal Paradiso, perché la permanenza stessa nel Paradiso fa parte della sua caratteristica essenziale[39]. Egli non potrà mai diventare un Soggetto-Esule. Semplicemente si occulta e con esso si occulta il Paradiso stesso (l’Imam occulto degli sciiti, oppure l’Imperatore dormiente del ghibellinismo – “splendida primavera d’Europa stroncata sul nascere”[40] nella prospettiva di Julius Evola ). Non è da sottovalutare il fatto che la gnosi ismaelita, in riferimento al ministero spirituale dell’Imam ed al suo sacerdozio iniziatico, conferisca ad Egli il nome di Melchisedek, affondando così le sue radici nell’idea di una religione profetica universale[41]. E proprio l’ideologia ghibellina, nel contesto dello scontro medievale con il papato, rivendicava la sua appartenenza alla tradizione regale di Melchisedek, il cui sacerdozio è superiore rispetto a quello di Abramo.

Lo studioso Ali Mirsepassi, ha fatto notare come l’Essere di Martin Heidegger coincida con Dio nella prospettiva filosofica del pensatore iraniano Ali Shariati[42]. Shariati, attraverso l’utilizzo di un linguaggio simbolico pregno di rimandi alla Tradizione islamica sciita, ha fornito la sovrastruttura ideologica volta alla realizzazione dell’Evento rivoluzionario in Iran. Nella prospettiva del filosofo iraniano, infatti, lo sciismo è un’ideologia rivoluzionaria che permea ogni sfera dell’Essere. Lo sciismo rosso (che prende il nome dal colore del sangue dei martiri), volto all’azione rivoluzionaria consacrata per il ritorno all’unità spirituale tra l’uomo e il Divino, si oppone al quietismo dello sciismo nero legato alla tradizione safavide. Essere un buon musulmano significa prima di tutto liberare se stessi dalla prigionia di un’esistenza inautentica per trasformarsi in vicari di Dio in terra. Il cosmo materialista imposto dal nichilismo occidentale ha trasformato l’uomo in semplice oggetto. In questo senso  il gihad, nella sua accezione di gihad maggiore, assume prima di tutto il significato di lotta per la liberazione interiore (il raccoglimento heideggeriano): una lotta tra gli elementi umani e quelli non umani di ogni uomo. Il martirio a Kerbala dell’Imam Hussein è l’azione archetipica che stabilisce il paradigma morale del sacrificio rivoluzionario. Il martire (Shahid) è l’eroe rivoluzionario per eccellenza. L’entezar (l’attesa del ritorno dell’Imam dal suo occultamento) è l’attesa dell’Evento rivoluzionario atto alla costruzione del percorso spirituale entro il quale avverrà la parusia del Mahdi.

La Rivoluzione islamica in Iran, intesa come ritorno alla Tradizione, ha mostrato la potenzialità del Dasein come Soggetto-Attore rivoluzionario. La rivoluzione islamica ha esperito la possibilità della reversibilità del tempo: una società capitalistica (seppur di stampo oligarchico-clientelare) è stata rovesciata attraverso la creazione di un modello societario pre-capitalistico in cui lo stesso prestito di denaro ad interesse, ribà (usura), è proibito per legge. Il Dasein rende dunque possibile la reversibilità del tempo. Il Dasein non è una funzione del tempo ma il tempo è funzione del Dasein. Solo attraverso la comprensione del principio di reversibilità del tempo si può essere capaci di progettare il futuro[43].

 

Reversibilità del tempo e localizzazione dell’Evento

 

 Le teorie politiche classiche percepiscono il tempo ed il processo di evoluzione storica in modo lineare. Pur differendo nella loro interpretazione di tale processo, tutte accettano l’idea dell’irreversibilità della storia. Tuttavia, ogni idea di progresso, oltre a rappresentare una forma di genocidio culturale delle generazioni passate, equivale ad asserire in modo diretto o velato forme di razzismo ideologico secondo il quale una civiltà sarebbe superiore ad un’altra (la civilizzazione nordamericana – ad esempio – come superiore a quella islamica). E la globalizzazione unipolare è in sé un fenomeno razzista in quanto impone la storia ed i valori dell’Occidente, ed in particolar modo quelli anglo-americani, come leggi universali.

Tuttavia, tutti i processi della storia, della filosofia e delle civiltà sono fenomeni ciclici. Oswald Spengler nella sua opera Il Tramonto dell’Occidente ha scritto: “Invece della squallida immagine di una storia mondiale lineare, io vedo un molteplicità di civiltà possenti […] ognuna delle quali ha una propria idea e delle proprie passioni, una propria vita, un proprio volere e sentire, una propria morte […] Queste civiltà, organismi viventi di ordine superiore, crescono in una magnifica assenza di fini, come i fiori dei campi. Nella storia universale io vedo un eterno formarsi e disfarsi, un meraviglioso apparire e scomparire di forme organiche”[44]. Ogni civiltà conosce dunque diverse fasi di sviluppo, fioritura e declino. Questa concezione morfologica della storia venne anticipata da autori quali il già citato Konstantin Leont’ev e Nikolaj Danilevskij. Mentre in un ambito prettamente islamico, ha nell’opera di Ibn Khaldun Muqaddima il suo principale riferimento teorico.

È importante sottolineare che una simile concezione, pur ponendosi in opposizione all’idea di storia lineare e all’idea della durata limitata del cosmo ad un certo numero di millenni propria delle religioni monoteistiche abramitiche, non si pone apertamente in contrasto con il loro afflato escatologico. Le tre religioni giudaica, cristiana e islamica, così come lo zoroastrismo iranico, ripropongono seppur in forma diversa la dottrina della rigenerazione del tempo. “La storia può essere abolita e rinnovata un numero considerevole di volte prima della realizzazione dell’eschaton finale. L’anno liturgico cristiano – ad esempio – è fondato su una ripetizione periodica e reale della natività, della passione, della morte e della resurrezione di Cristo, con tutto ciò che questo dramma mistico comporta per un cristiano, cioè la rigenerazione personale e cosmica attraverso la ritualizzazione”[45]. Proprio Leont’ev ribadì con grande energia tale concetto nei suoi ultimi scritti. “La concezione cristiana della storia è sì lineare e finalizzata ma mai progressista”[46].

Tracce dell’antica dottrina della rigenerazione periodica del tempo sussistono ovviamente anche nell’Islam. Ne è dimostrazione la misurazione del tempo attraverso il calendario lunare, in quanto proprio le fasi di crescita, decrescita, scomparsa e rigenerazione della luna hanno avuto una funzione immensa nello sviluppo delle concezioni cicliche del tempo. Così come ne è dimostrazione la ciclicità rituale delle cinque salat giornaliere.

Sulle stesse basi, lo Shaykh Mohammed Laheji, nel contesto dell’Islam sciita, ha omologato, nel suo commento al poema Il Roseto del Mistero, il complesso del ciclo della profezia e dell’iniziazione a quello nictemerale del cosmo[47].

Fatta esperienza dell’idea di reversibilità e rigenerazione del tempo, è importante pensare sul come il Dasein, in quanto Soggetto, possa predisporre il terreno per la riappropriazione del sacro: ovvero di ciò che per l’uomo primordiale, assetato dell’Essere, era il reale per eccellenza[48].

Heidegger, ancora una volta, nel saggio La Questione dell’Essere espone tale problema teorico sottolineando nuovamente l’importanza del concetto di Einkehr (raccoglimento): “La via di questo  raccoglimento ha la modalità di un ritorno (Ruckker). Ma non si tratta naturalmente di un ritorno ai tempi trascorsi per tentare di restaurarli in forma artificiosa”[49].

Ciò escluderebbe a priori la progettualità utopico-retrospettiva dell’islamismo politico sunnita volto alla restaurazione artificiosa del modello comunitario creato dal Profeta Muhammad a Medina dopo l’Egira.

Continua Heidegger: “Ritorno qui significa costruire il cammino che riconduce nella località del superamento della metafisica e preparare il dimorare in quella località”[50]. Solo attraverso questo cammino intellettuale e spirituale è possibile, comprendendo dove il – ci- del Dasein è situato, l’abolizione del tempo e la sua rigenerazione.

Qui, entra in scena l’idea di Geviert – modello filosofico heideggeriano rappresentato attraverso l’intersezione di due linee simile alla croce di Sant’Andrea – che indica nei suoi quattro poli le dimensioni Cielo, Terra, Uomini e Dei. Nella riunione della quadratura si trova il crocevia tra cielo e terra, tra umano e divino. Tale riunione dispiega la dimensione spaziale entro la quale è possibile abitare in vista del “nuovo inizio”. Infatti, i quattro poli del Geviert hanno al centro della quadratura lo stesso Essere.

Heidegger nella sua opera In Cammino Verso il Linguaggio si sofferma nel ricordare come la parola tedesca Ort (luogo) rinvii alla punta di una lancia[51]. E proprio come nella punta acuminata di una lancia, in forza di una irresistibile attrazione, lo spazio si concentra favorendo la convergenza ed il raccoglimento delle quattro dimensioni dell’Essere. Centro di una croce invisibile ogni luogo in cui si eventua tale riunione è un axis mundi; un punto di congiunzione tra cielo e terra (la Ka’aba o la moschea di al-Aqsa, in ambito islamico, ad esempio, hanno un simile valore simbolico; mentre in Occidente tale idea si è venuta lentamente perdendo)[52].

L’orizzonte nichilista della metafisica occidentale ha determinato la perdita di questo “luogo” e, di conseguenza, la possibilità di un nuovo inizio solo all’infuori della “Landa dell’Occaso”. In questo contesto l’aggressione all’Eurasia si legge soprattutto come volontà di impedire l’individuazione del luogo del “nuovo inizio”.

Mircea Eliade nella sua opera sulla storia delle religioni ricorda come in una zona geografica molto vasta all’interno del continente eurasiatico la cosmogonia comportava la lotta vittoriosa di un Dio o Eroe mitico contro un mostro marino[53]. Carl Schmitt in Terra e Mare fa notare come sul finire del XIX secolo la tensione tra Gran Bretagna e Russia venisse rappresentata simbolicamente come la lotta tra una balena (che assume i tratti del mostro biblico Leviatano) ed un orso. Una rappresentazione simbolica che ha i suoi precedenti nella concezione cabalistica secondo la quale la storia del mondo fosse stata il prodotto della lotta tra il Leviatano marino ed un mostro di terra altrettanto potente: il Behemoth[54]. Questa opposizione tra terra e mare, dunque, può anche essere letta come l’opposizione tra diverse forme di civiltà. Tuttavia, solo la terra è abitazione dell’uomo. Mentre il mare è un prodigio terribile al margine del mondo abitato: un mostro caotico, un Leviatano[55]. E nella prospettiva di Junger il confronto con il Leviatano (inteso come la frenesia della tecnica nichilistica della globalizzazione anglo-americana) agisce su due livelli: il vuoto interiore (l’assenza e la dimenticanza della dimensione del sacro); l’attacco brutale e volgare della potenza demoniaca automatizzata[56].

In modo da corrispondere all’Evento del “nuovo inizio” in cui apparirà “l’ultimo Dio”, i popoli dell’Eurasia hanno dunque il dovere di ricomporre la propria unità spirituale e culturale. È questa l’unica via per affrontare l’attacco del Leviatano.


 

[1]    C. Mutti, Esploratori del Continente. L’unità dell’Eurasia nello specchio della filosofia, dell’orientalistica e della storia delle religioni, Effepi, Genova 2011, p. 100.

[2]    Ibidem, p. 105.

[3]    Ibidem, p. 103.

[4]    K. Leont’ev, Bizantinismo e mondo slavo, Edizioni all’insegna del Veltro, Parma 1987, p. 142.

[5]    Ibidem, p. 96.

[6]    A. Dugin, Continente Russia, Edizioni all’insegna del Veltro, Parma 1991, p. 6.

[7]    Ibidem.

[8]    Si veda a tal proposito: G. Dzemal, Tawhid; Prospettive dell’Islam nell’ex URSS, Edizioni all’insegna del Veltro, Parma 1993.

[9] “Sono stati sconfitti i Romani nel paese limitrofo; ma poi dopo essere stati vinti, saranno vincitori; tra meno di dieci anni – appartiene ad Allah il destino del passato e del futuro – e in quel giorno i credenti si rallegreranno” (Corano, sura XXX;2-4). La sconfitta di cui parla il primo verso della sura è quella subita dall’esercito bizantino in Palestina per mano dei persiani nel 614. Il Profeta si dispiacque di tale sconfitta mentre i suoi concittadini meccani e idolatri se ne rallegrarono. Tuttavia, il profeta predisse, tra lo scherno degli stessi meccani, la rivincita cristiana che avvenne nel 622 e definitivamente cinque anni più tardi nei pressi di Mosul.

[10]  Si veda I. Hosein, Jerusalem in the Qur’an e An Islamic view of Gog and Magog in the modern world, su www.imranhosein.org.

[11]  M. Heidegger, La questione dell’Essere, in E. Junger, Oltre la linea, Adelphi Edizioni, Milano 1989, p. 163.

[12]  Ibidem, p. 75.

[13] Intorno all’anno mille gli esperti della dottrina sunnita dichiararono che il periodo dello sforzo interpretativo si era concluso: si era ormai raggiunto un sufficiente consenso sulle norme fondamentali e sulle applicazioni concrete di esse. La porta dell’ijtihad, esercizio di un giudizio indipendente, in senso sia restrittivo che estensivo rispetto ad un corpus canonico, si era chiusa. Non restava che rifarsi, d’ora in avanti, a quanto avevano fatto gli interpreti precedenti e limitarsi a ragionare per semplice analogia (qiyas).

[14]  W. Hallaq, Introduzione al Diritto Islamico, Il Mulino, Bologna 2013.

[15]  A. Rashid, Caos Asia: Il fallimento occidentale nella polveriera del mondo, Feltrinelli, Milano 2008.

[16]  G. Kepel, Jihad. Ascesa e declino. Storia del fondamentalismo islamico, Carocci, Roma 2001.

[17]  W. Hallaq, The impossible State, Columbia University Press, New York 2014, p. 32.

[18]  N. Ayubi, Over-stating the Arab State, politics and society in the Middle East, I.B. Tauris, Londra 1995, p.15.

[19]  R. Dreyfuss, Devil’s game: How the United States helped unleash fundamentalist Islam, Metropolitan books, New York 2005.

[20]  M. al-Rasheed, Storia dell’Arabia Saudita, Bompiani, Milano 2004.

[21]  Ibidem, p. 33.

[22]  H. Laoust, Gli scismi nell’Islam, ECIG, Genova 1990, p. 298.

[23]  R. Guénon, Il Re del mondo, Adelphi Edizioni, Milano 1977, p. 109.

[24]  C. Mutti, L’Islam nella prospettiva di Julius Evola, su www.eurasia-rivista.com (rubriche – geofilosofia).

[25]  A. Dugin, Osnovy geopolitiki: Geopoliticheskoe budushchee Rossii, Arktogeya, Mosca 1997, p. 158.

[26]  H. Corbin, L’Imam nascosto, Edizioni SE, Milano 2008, p. 51.

[27]  A. Dugin, Le radici metafisiche delle ideologie politiche, in Continente Russia, op.cit. p.79.

[28]  Ibidem, pp. 94-95.

[29]  Ibidem, p. 81.

[30]  Ibidem. p. 82.

[31]  Ibidem, p. 83.

[32]  A. Dugin, The Fourth Political Theory, Arktos, Londra 2012, p. 37.

[33]  C. Mutti, Esploratori del Continente, op. cit., p. 13.

[34]  A. Dugin, The Forth Political Theory, op. cit. p. 38.

[35]  C. M. Kasapoglu, Hegel, Max, Gramsci and the Turkey’s AKP, su www.cagilkasapoglu.wordpress.com.

[36]  A. Dugin, The Fourth Political Theory, op. cit., p. 53.

[37]  M. Heidegger, Holzwege; Sentieri erranti nella selva, Bompiani, Milano 2014, p. 485.

[38]  M. Heidegger, La Questione dell’Essere, op. cit., p. 162.

[39]  A. Dugin, Continente Russia, op. cit. p. 84.

[40]  J. Evola, Rivolta contro il mondo moderno, Edizioni Mediterranee Roma 1998, p. 350.

[41]  H. Corbin, L’Imam nascosto, op.cit., p. 35.

[42]  A. Mirsepassi, Political Islam, Iran and the Enlightenment: Philosophies of Hope and Despair, Cambridge University Press, New York 2011, p. 131.

[43]  A. Dugin, The Fourth Political Theory, op. cit. p. 71.

[44]  O. Spengler, Il tramonto dell’Occidente, Longanesi, Milano 1981, pp. 40-41.

[45]  M. Eliade, Il mito dell’eterno ritorno, Classici Borla, Roma 2010, p. 127.

[46]  A. Ferrari, La terza Roma, Edizioni all’insegna del Veltro, Parma 1986. p. 57.

[47]  H. Corbin, op. cit., p. 78.

[48]  M. Eliade, op. cit., p. 20.

[49]  M. Heidegger, op. cit., p. 162.

[50]  Ibidem.

[51]  M. Heidegger, In cammino verso il Linguaggio, Mursia, Milano 1973.

[52]  Sul simbolismo della lancia come asse del mondo si veda René Guénon, Simboli della scienza sacra, Adelphi Edizioni, Milano 1973.

[53]  M. Eliade, Storia delle idee e delle credenza religiose, BUR – Biblioteca Universale Rizzoli, Milano 2006, p. 347.

[54]  C. Schmitt, Terra e mare, Adelphi Edizioni, Milano 2002, p.13.

[55]  C. Schmitt, Dialogo sullo spazio, in C. Schmitt, Terra e mare, op. cit., p. 104.

[56]  E. Junger, Oltre la linea, op. cit., p. 78.