Introduzzione alla Filosofia Politica

In primo luogo, consideriamo la natura di questa disciplina e che cosa studia. Se guardiamo alla storia della filosofia e dei sistemi politici, vedremo la seguente regolarità. Filosofia e politica, fin dall’inizio, fin dalla nascita di queste due discipline, si sono sviluppate non solo parallelamente, ma inseparabilmente l’una dall’altra.  Tra i primi dei Sette Magi, considerati i fondatori della tradizione filosofica dei Presocratici greci, ve ne sono molti, tra cui Solone, famosi per la stesura di leggi politiche, costituzioni, codici penali, attori essenzialmente politici, rappresentanti delle loro città, delle loro unità politiche. Così, all’inizio della storia della filosofia, vediamo un legame inseparabile tra filosofia e politica. Quindi, la politica come fenomeno a sé stante, disconnesso dalla filosofia, studiata per esempio con metodi filosofici, è un approccio completamente diverso.
In realtà, la filosofia della politica è una disciplina più profonda di quella. È una disciplina che considera i filosofi che si sono impegnati in politica, i filosofi che scrivono di politica, e gli attori politici che hanno basato le loro leggi, l’istituzione del loro sistema politico, su principi filosofici.  Infatti, nell’epoca della nascita della filosofia, e nell’epoca della nascita della politica, queste cose non erano affatto separate l’una dall’altra. Il soggetto della filosofia e della politica è dunque quello spazio originario che univa la filosofia e la politica in un determinato orientamento condiviso. In altre parole, vorrei dire che non esiste un fenomeno politico distinto e un fenomeno filosofico distinto, che noi uniamo artificialmente, né studiamo la politica con l’aiuto della filosofia. Non stiamo parlando soltanto della filosofia politica di una o di un’altra scuola, periodo, cultura o civiltà: quando parliamo di filosofia della politica, parliamo in misura significativa dell’essenza della politica, di ciò che la rende politica – da un lato; dall’altra parte, stiamo parlando dell’essenza politica della filosofia, che rende la filosofia, filosofia.
Ma c’è una differenza: la filosofia qui domina, perché la politica senza filosofia non è affatto possibile. La politica è una forma di filosofia applicata, l’applicazione della filosofia ad una certa sfera della vita umana, ma la filosofia senza politica è possibile, in teoria, cioè c’è una filosofia che non si occupa di politica, ma non c’è politica che non si basi sulla filosofia; quindi, c’è una disuguaglianza qui; la filosofia domina. Tuttavia, la filosofia studia la politica, non solo i fondamenti filosofici, ma anche gli aspetti politici della filosofia stessa, perché la politica non è un’applicazione parziale e accidentale della filosofia, ma l’elemento più generale, più fondamentale, eppure applicato della filosofia. Non appena appare la filosofia, essa necessariamente, prima di tutto, quando esiste, si rivolge alla politica; e tutta la politica emerge dalla filosofia. Tra di loro esiste un rapporto organico disuguale, ma molto profondo. Lì, dove avviene l’unificazione originale del filosofico e del politico… nascono tutti i sistemi politici possibili e nello stesso tempo avviene la cristallizzazione del sapere filosofico.
Anche se esiste una filosofia libera dalla politica che si occupa di questioni non politiche, di fatto, in un modo o nell’altro, anche una tale filosofia libera e apolitica è collegata, in un modo o nell’altro, alla politica, in quanto filosofia e politica hanno una radice comune. Per questo, se la filosofia considera le questioni estetiche, le questioni storiche, le questioni culturali, e non dice nulla sulla politica Tuttavia, ciò non significa che si tratti di un fenomeno completamente distinto. Qualsiasi filosofia, anche la più astratta, ha una dimensione politica, in alcuni casi esplicitamente.
Nel caso di Solone, come in quello degli antichi Presocratici e Saggi greci, e come nel caso di Platone e Aristotele, si tratta di una dimensione esplicita della filosofia; ma c’è anche una dimensione politica implicita della filosofia, quando la filosofia non dice nulla sulla politica, ma il fatto stesso della presenza di un paradigma filosofico dell’uno o dell’altro porta già in sé la possibilità di una dimensione politica.  In un caso è solo esplicito, aperto, manifesto; nell’altro è implicito, contenuto.
Quindi, tra filosofia e politica c’è un legame molto, molto profondo, un legame a livello di origine, e lo studio della filosofia senza politica già di per sé impoverisce e indebolisce il concetto di filosofia.  D’altra parte, lo studio della politica senza filosofia non è affatto valido.  In questo caso, abbiamo già fatto il modo di programmare e stabilito regola da Word, cioè, file aperto, file chiuso; siamo bravi programmatori, conosciamo due funzioni, “salva” e “salva come”; possiamo essere ottimi utenti di Word, possiamo scriverci ottimi testi, ma non siamo programmatori. Le persone che non hanno la filosofia della politica, che non hanno la filosofia, sono tanto politiche quanto programmatori informatici che non sanno programmare. Una persona che non conosce la filosofia non può impegnarsi in politica; non è un politico, è un dipendente del governo che si trova semplicemente di fronte a un muro. Qualcuno gli ha detto: vai lì, fallo. Cosa fare, dove andare, potrebbe essere un ottimo utilizzatore, ma in realtà i politici che non hanno una dimensione filosofica si trovano solo in un cantiere, e magari pure straniero. In realtà, senza filosofia, non c’è politica, punto.  La politica è una delle dimensioni contenute nella filosofia.
La politica senza filosofia non esiste, ma la filosofia senza politica esiste, perché è primaria rispetto alla politica; ma ogni filosofia ha una dimensione politica – o esplicitamente, come ho detto, o implicitamente, nel qual caso tacciamo. Questo silenzio della filosofia sulla sua dimensione o espressione politica non è un silenzio totale è più reticenza che silenzio, cioè la filosofia che non si occupa di politica conosce la politica e la ha dentro di sé, ma apertamente non ne parla. È questo un silenzio particolare: c’è il silenzio del saggio e c’è il silenzio del manichino.  Questo tace per non dire la cosa sbagliata, perché sente che se comincia a parlare, non ne uscirà niente di buono.  Il saggio tace per un motivo completamente diverso.  Il silenzio della filosofia sulla politica è il silenzio del saggio; ma, se lo interroghiamo correttamente, egli ci dirà ciò che sa di politica e ciò che dice sarà del tutto sensato. Esso resta comunque silenzioso.
Quindi, ogni sistema filosofico porta in sé una dimensione politica, ma non tutti i sistemi filosofici sviluppano esplicitamente questo modello.  Questa è la cosa più importante per comprendere l’ambito della materia che studieremo nel corso della filosofia della politica.  In altre parole, stiamo studiando la radice filosofica, la base, la base programmatica, la base matrice, di tutta la politica, che è del tutto riducibile alla filosofia – non c’è nulla nella politica, non c’è un solo elemento che non porti, non sia spiegato e non emerga dalla filosofia.  Semplicemente, la politica fa parte della filosofia, da un lato.  Quindi lo studieremo, si studierà anche la dimensione politica della filosofia, che pure è al servizio della filosofia; d’altra parte, la filosofia che porta la politica al suo interno è certamente più ricca della politica, ma ciononostante in ogni sistema filosofico si scopre, anche là dove non se ne parla, una possibile applicazione alla sfera politica, cioè la possibilità di derivare dal contenuto politico della filosofia.
La politica è, se volete, il caso più importante dell’applicazione della filosofia.
Di conseguenza, la storia della filosofia e la storia della politica producono rigorosamente lo stesso modello.  Si tratta di un aspetto estremamente importante, esiste una precisa omologia tra di loro. Se la filosofia si muove in una direzione, la politica non può muoversi in un’altra direzione; la politica si muove di pari passo con la filosofia, se qualcosa è cambiato nella filosofia, qualcosa cambierà nella politica; se qualcosa è cambiato nella politica, qualcosa è cambiato nella filosofia, che ha predeterminato questo cambiamento nella politica. La politica non ha autonomia dalla filosofia. La politica è spesso più visibile, anche se a volte meno. Dal punto di vista della storia, i cambiamenti delle dinastie, di un certo capo, principe, imperatore, l’iniziare una guerra., tutto questo è evidente che è una decisione politica, ma non è mai distinta dalla filosofia. È quello che vediamo – la decisione politica – ma non vediamo la decisione filosofica, che deve esserci. Dal punto di vista della filosofia della politica, la storia politica è una sezione della storia della filosofia, che dipende assolutamente da questa storia filosofica. Nessun politico è libero dalla filosofia, e nessun filosofo può non essere visto alla luce della sua dimensione politica implicita.
In altre parole, il quadro storico, la storia, la storia in quanto tale, l’ascesa e la caduta dei principati, la costruzione e la morte delle civiltà, i conflitti tra civiltà, le rivoluzioni politiche, le decisioni sui tram, tutto ciò ha sotto di sé una dimensione filosofica, non sempre evidente e non sempre riconosciuta, ma il compito di chi studia la filosofia della politica è quello di elaborare l’intera omologia: questo uguale (homo) significato (logos). Il significato della storia è politico-filosofico o filosofico-politico. Tutta la storia ha queste due facce: da un lato è la storia dei principati, dall’altro è la storia delle idee. La storia dei principati e la storia delle idee non sono separate; è una e la stessa storia. Così, se ci si attacca alla dimensione filosofica, per esempio il passaggio dall’idealismo soggettivo all’idealismo oggettivo, ciò si collega necessariamente ad una identica dimensione politica, a un passaggio da un modello politico all’altro, così come i cambiamenti nelle configurazioni delle religioni – e questo è un problema filosofico innanzitutto, la teologia – cambiano radicalmente il contenuto dei processi politici che avvengono nella società dove questa filosofia si sta diffondendo.  Possiamo avvicinarci a questa omologia tra il filosofico e il politico da tutti i lati, dicendo che il sistema politico è cambiato, e a seconda di come è cambiato, in quale direzione, con quale rapidità, e del contenuto del cambiamento, possiamo, anche se non conosciamo la filosofia di quel periodo, stabilire cosa stava succedendo sul piano delle questioni filosofiche.
O al contrario: non sappiamo cosa sia accaduto politicamente in qualche società, ma si è conservata la storia delle argomentazioni di un filosofo con un altro; da questa argomentazione, se ben scritta, possiamo ricostruire tutto il quadro politico di ciò che stava accadendo in quel momento, nell’agora dove tutto era deciso democraticamente, nel Ding o nel veche, o al contrario se c’era una monarchia, una teocrazia per esempio, o un impero. Per studiare la filosofia della politica, dunque, cominciamo con un certo assioma, l’assioma dell’omologia assoluta tra il politico e il filosofico. Certo, possiamo fare una certa distinzione tra politica e politica. Vorrei richiamare l’attenzione su uno dei più eminenti filosofi della politica, Carl Schmitt, di cui parleremo durante tutto il corso. Nel ventunesimo secolo, è opinione comune che Carl Schmitt sia stato il più importante filosofo politico del ventesimo secolo.
A volte si dubitava, si diceva che ci sarebbero stati altri filosofi, ma oggi se si dice Carl Schmitt, ovunque si dice che è il nostro filosofo politico più illustre; forse il più illustre, insieme a Hobbes e a Platone, Carl Schmitt è il filosofo politico per eccellenza. Voglio attirare la vostra attenzione sulle sue opere, e raccomandare a tutti necessariamente e senza indugio di familiarizzare con il suo lavoro sulla politica, das Politische. È molto importante. Carl Schmitt distingue la politica dal Politico. Egli considera il Politico – scritto con la P maiuscola – in questo caso si tratta di un aggettivo considerato come un sostantivo, das è l’articolo che indica che si tratta di un sostantivo.  In tedesco è molto chiaro: das Politische, in contrapposizione a mero politico.  Per trasmettere il significato di Schmitt, usiamo la lettera maiuscola, il Politico [d’ora in poi, non capitalizzerò; è necessario in russo, dove non c’è un articolo preciso.] Questo, il politico, Schmitt lo distingue dalla politica. Per politica, egli intende l’applicazione del politico ad una situazione sociale concreta.  La concretizzazione della politica è la concretizzazione del politico.  Ma che cos’è, allora, il politico?  Il politico – das Politische – è proprio quel punto in cui il figlio (politica) è collegato al padre (filosofia).  Cioè, il politico è proprio la sfera della politica filosofica, la sfera in cui la filosofia si collega direttamente con la politica, quella che abbiamo chiamato omologia della filosofia e della politica. In altre parole, das Politische, secondo Schmitt, è proprio il punto dell’omologia dove non si parla di politica […] ma non ancora di filosofia come livello sempre più ampio.  È il confine, l’orizzonte, la linea tra filosofia e politica.  Ecco cosa vuol dire das Politische.
Un altro aspetto interessante è che si tratta di un certo ambito, un ambito che noi definiamo appunto la filosofia della politica.  Tutta la sfera della filosofia della politica è racchiusa in questo concetto di politica, das Politische.
Un altro concetto molto importante di Schmitt è quello che viene chiamato un preconcetto [Vorgriffe].  Il preconcetto non è ancora una legge politica, non è ancora un’istituzione politica, non è un partito politico, né è un programma politico concreto. Il preconcetto è una sorta di elemento o singolarità del politico nella sua veste pura – non puramente filosofica, ma dove la filosofia della politica entra nel suo proprio diritto. Carl Schmitt lo chiama preconcetto. Il campo del politico è dunque interamente costituito da preconcetti, preconcetti politici.
Anche la concezione politica è di per sé un fenomeno molto interessante. È proprio quel momento di transizione in cui la filosofia diventa politica, ma notate il tempo: diventa; non è ancora divenuto, ma solo diviene. Quando la filosofia diventa politica, quando si ha a che fare con un concetto politico.  Si tratta, ad esempio, del concetto politico della separazione dei poteri, del rapporto tra Chiesa e Stato, delle nozioni di confini, del soggetto e delle istituzioni politiche. Si tratta già di un concetto politico nel vero senso della parola. Quando, allora, si tratta di un concetto di principio? Quando la nascita [penso] di questo concetto politico è preparata sulla base di contenuti filosofici. In tal modo, la sfera del politico è la sfera dell’esistenza dei preconcetti. La politica consiste di preconcetti; e studiando i preconcetti, studiamo quell’omologia di cui abbiamo parlato prima. Lo studio dell’omologia della filosofia e della politica, di ciò che accomuna queste due sfere asimmetriche, è lo studio dei preconcetti e il compito della filosofia della politica. È di questo che stiamo parlando. Stiamo parlando di una sorta di campo che esiste, dove la molteplicità della filosofia si interseca con la molteplicità della politica. Qui tra loro c’è proprio ciò che è comune, il politico, che la filosofia della politica studia.
Questa era l’introduzione. Passiamo ora alla questione di come ciò si verifichi nella pratica. Platone è considerato il fondatore del primo sistema filosofico a tutti gli effetti nella storia. Egli formulò nel modo più completo quell’agenda filosofica che non solo predeterminava tutta la storia antica della filosofia, tutto il Medioevo, in misura significativa la filosofia del Rinascimento, come anche la filosofia della modernità. D’altronde, non c’è oggi nel XXI secolo un filosofo più rilevante e meno compreso di Platone.  In altre parole, Platone è tutta la filosofia, l’insieme della filosofia; la filosofia in toto. I pensatori più acuti del diciannovesimo, diciottesimo, diciassettesimo, sedicesimo, quindicesimo e così via fino a Platone tutti studiano Platone.  Infatti, a rigor di termini, c’è un filosofo: Platone, e questa è la filosofia. Fino ad oggi non abbiamo che la sua agenda filosofica. Per quanto riguarda ciascuna delle parole di Platone, ciascuna delle sue frasi, ci sono argomenti accesi fino ad oggi, e nessuno può accertare con certezza se questo è il modo in cui egli le intese. Sorgono dei geni che prendono una posizione; ne appaiono altri e si oppongono a queste posizioni. Non sono persone semplici, sono geni filosofici. Tutto il dogma cristiano si basano su Platone. Nella teologia cristiana non c’è una tesi che non abbia una dimensione platonica. Nella teologia islamica tutto si basa esclusivamente sul platonismo.  E anche dove il platonismo non è arrivato, in India, tuttavia il modo più semplice per studiare la filosofia indù, i Veda, la religione, è con il platonismo, perché l’analogia è subito evidente. Così Platone è considerato il principe dei filosofi, e il suo principato in filosofia nessuno è stato ancora in grado di attaccarlo. Migliaia di volte è stato annunciato che l’impero di Platone è caduto. Queste si sono rivelate ogni volta una sorta di allucinazioni marginali. Viviamo nella filosofia di Platone, Platone è il principe della filosofia, e o lo contestiamo, oppure lo accettiamo come cittadini fedeli e seguiamo il nostro leader Platone. Successivamente, l’idea che la filosofia abbia portato qualcosa di supplementare a Platone è un’ipotesi accademica del tutto infondata e non scientifica, si tratta di una sorta di voce che non viene confermata dalla comunità scientifica. Anche coloro che sono pensati come l’incarnazione della filosofia della modernità studiarono Platone (parlo di Bergson, che ci ha dato, attraverso il primitivo e molto limitato Karl Popper, la società aperta, e di Whitehead, per dimostrare che entrambi, sebbene moderni, erano ispirati da Platone). Platone è tutto.  Di fatto, se qualcuno legge Platone, non si scontra con un solo filosofo, un solo autore, una sola scuola; si scontra con la filosofia in quanto tale, perché tutta la filosofia non è altro che il movimento tra alcune tesi di Platone. Egli fondò tutta la filosofia in una volta: in una volta e tutta insieme. Così, lo studio della filosofia è lo studio della filosofia di Platone; tutto il resto, essenzialmente – come diceva Whitehead, filosofo analitico, logico, matematico – è una nota a piè di pagina alla filosofia di Platone. Dobbiamo perciò prestare attenzione al fatto che la filosofia è solo Platone e se non capiamo Platone, non capiamo il linguaggio di programmazione della filosofia. […] Lo studio della filosofia inizia con lo studio delle opere di Platone; lo studio della filosofia ha origine attraverso lo studio delle opere di Platone e finisce con lo studio delle opere di Platone; ce n’è abbastanza qui per tutta la vita.  Si può generalizzare, forse, così come ho detto. È questo, lo riconosco, un programma forse per geni. Per un filosofo semplice, ordinario, è possibile prendere uno dei dialoghi di Platone, come il Cratilo, per esempio, e vivo la mia vita con il Cratilo.  Entro la fine della mia vita, la chiarezza del Cratilo sarà totale. Per gli studenti, la questione si restringe: prendiamo un detto separato di Platone e proviamo nel corso di una certa misura di tempo a viverlo attraverso, e anche questo sarà enorme, perché Platone è filosofia.
Di conseguenza, se parliamo di filosofia, parliamo di Platone.  ..] Se vogliamo familiarizzare con quella matrice sulla quale si forma il das Politische e la sfera di quell’omologia di cui abbiamo parlato, o con quei preconcetti con cui abbiamo a che fare, se vogliamo capire da dove viene la politica, quali sono le sue strutture, come si cristallizza e si manifesta attraverso il politico, dobbiamo studiare Platone. […] Pertanto, le prime cose che dobbiamo conoscere sono gli scritti di Platone.
Traduzione di Lorenzo Maria Pacini