Antikeimenos

Antikeimenos

Ontologia ed esperienza dell’Anticristo radicale: aspetti semantici, religiosi, sociologici e di scienza politica

Tradizionalismo e semiotica

Lo scopo di questo articolo è quello di considerare la figura dell'”Anticristo” e il campo semantico della “fine dei tempi” senza alcuna tradizione religiosa particolare. Ma la figura dell'”Anticristo” (Ο Αντίχριστος) ha un legame con il cristianesimo. Di conseguenza, possiamo dire che stiamo guardando non solo e non tanto direttamente alla figura cristiana dell’Anticristo, ma anche ai suoi analoghi. Questo ci porta al tema del tradizionalismo.

Che cos’è il tradizionalismo? Non è una delle tradizioni. È quella matrice strutturale, quel paradigma che è comune alle diverse tradizioni. Se le confrontiamo con la società moderna, con la New Age e con il paradigma secolare della scienza moderna, sembra che tutte le tradizioni e le religioni particolari abbiano qualcosa in comune. Il desiderio di descrivere, identificare e individuare questa cosa comune porta al tradizionalismo.

In tale contesto, il tradizionalismo può essere inteso come il risultato di un’analisi sociologica della modernità (con conclusioni negative) e di un parallelo comparativismo di specifiche tradizioni. Ma pretende (ad esempio, nella persona di Guénon[1]) di essere qualcos’altro: il “primordialismo”, cioè che il tradizionalismo sia un’espressione della Tradizione primordiale, che precede, piuttosto che seguire, le tradizioni conosciute.

Non discuteremo ora se questa affermazione sia giustificata. Per ora ci basta che il procedimento sociologico che ricostruisce il tradizionalismo o il paradigma della società tradizionale in contrasto con la società moderna sia del tutto credibile. Già questo conferisce credibilità a Guénon, ma se la sua convinzione che il concetto sociologico e filosofico di “Tradizione” corrisponda realisticamente e storicamente, oltre che ontologicamente, a una qualche essenza di fondo che può essere percepita esperienzialmente (comprese le forme metafisiche e spiritualizzate di esperienza) sia giustificata, richiede una considerazione più attenta. In altre parole, se si possa parlare di una vera “primordialità” e non di una mera ricostruzione mentale a posteriori, simile alle generalizzazioni postmoderne, è una questione aperta.

Il valore di Guénon nel contesto del Postmoderno è evidente, ma come si rapportano le sue idee alle strutture del Premoderno? E c’è qualcosa nel Premoderno che egli individua come sua parte centrale, cioè la Tradizione Primordiale?

La nostra esitazione ci impedirà di cadere nel sincretismo, nella New Age, nell’occultismo e nel neo-spiritualismo. Non emettiamo un verdetto, ma diciamo: accettiamo la tesi della “Tradizione” e persino della “Tradizione primordiale” come concetto certamente operativo sociologicamente (struttura comune a specifiche tradizioni) e mettiamo (per ora) fuori parentesi la sua validità storica e ontologica.

Affrontiamo il problema in termini di semiotica. Che cos’è una tradizione particolare? Una tradizione religiosa, ad esempio. È una lingua[2]. Questo linguaggio è strutturato, contiene segni e sintassi, crea campi di significato (connotativi – per gli strutturalisti), costituisce o descrive (costituisce) denotazioni. In ogni caso, una particolare tradizione presenta tre livelli linguistici e logici:

Una serie di segni (simboli, dogmi, trame, miti, narrazioni), cioè strutture di significazione;

  • una serie di significati (significanti);
  • una serie di significati (che regolano le relazioni della prima e della seconda riga – o la relazione dei segni della prima riga tra loro, le connotazioni).

Per esempio, quando un musulmano dice “Allah” intende un significato diverso da quello che intende un cristiano quando dice “Dio”. Senza un’analisi dettagliata delle tre file non possiamo capire nulla di una particolare tradizione. Quindi “Anticristo” – in senso stretto – ha senso (e significato) solo come figura della narrazione cristiana, dei dogmi cristiani; è legato a Cristo in modo complesso (il più delle volte all’inverso) e ci indica un denotativo (denotato) che è costituito esclusivamente dalla religione cristiana e rimane nel suo ambito. È possibile parlare dell’Anticristo come di una connotazione che deriva il suo essere dalla sua collocazione concettuale nel sistema del linguaggio cristiano e dalla sua struttura.

Lo stesso si può dire di qualsiasi figura di una particolare religione. Per esempio, il Khizra dei musulmani o il profeta Elia degli ebrei. Alcune cose hanno lontani analoghi in altre religioni, altre no.

Inoltre, ci sono prestiti e reinterpretazioni delle stesse figure in contesti diversi, e questo complica l’analisi.

L’ontologia dei denotati nel tradizionalismo

Qual è la struttura semiotica del Tradizionalismo, cioè della Tradizione – o, se si vuole, della “Tradizione primordiale”? Questa struttura rappresenta, rispetto a tradizioni specifiche, una sorta di meta-linguaggio che generalizza le proprietà paradigmatiche di tradizioni specifiche come linguaggi specifici. Abbiamo cioè a che fare con una serie generalizzante di segni, che possiamo cercare di attribuire al campo del significante.

Ma guardate: è un significante speciale che non coincide con nessuna tradizione o religione particolare. Ed ecco la cosa interessante: qual è il campo corrispondente del significato, cioè le denotazioni del tradizionalismo? O, in altre parole, qual è l’insieme dei significati connotativi del tradizionalismo che ne costituiscono le “essenze” come discorso?

Il metalinguaggio in generale (e il tradizionalismo in particolare) ha un campo denotativo o connotativo? Se il metalinguaggio è una costruzione puramente artificiale, allora non esiste questo campo, perché il metalinguaggio serve solo come descrizione tecnica del funzionamento del linguaggio reale. Ma se ammettiamo (insieme a Guénon) che il tradizionalismo non è un’astrazione tecnica riassuntiva, ma l’espressione di una struttura eterna permanente e sovrastorica, allora c’è.

Quindi, per parlare dell'”Anticristo” al di fuori del contesto cristiano – in modo che questa figura abbia un senso e un significato – siamo costretti ad adottare la prospettiva primordialista. Altrimenti saremo costretti a limitarci a confrontare le serie a tre livelli delle diverse religioni, eliminando la possibilità stessa di occuparci di ciò che (ontologicamente e semanticamente) è comune ad esse (se non nel senso di a posteriori e lontanamente estraneo – cioè nominalistico! – osservazioni e generalizzazioni), poiché, a rigore, non hanno nulla in comune (ontologicamente no, non come unità di significato).

L’Anticristo nel cristianesimo

Detto questo, dobbiamo comunque tornare al contesto cristiano, da cui partire per studiare la semantica e il significato di questa figura.

L’Anticristo segna la fine dei tempi, l’eone escatologico, il culmine dell’apostasia (ἀποστασία). Egli riassume le condizioni (storiche, sociali, esistenziali, ontologiche, ecc.) in cui la salvezza è massimamente difficile e complessa, e tutte le cose nel mondo e persino nella religione sono capovolte. L’Anticristo finge di essere Cristo e Dio, e così abilmente che molti non riescono a riconoscerlo. Questa è l’essenza della sua funzione: confonde, inganna, perverte, finge una cosa per un’altra; è un arlecchino, un attore, un clown, un giullare.

La figura dell’Anticristo nella semantica del cristianesimo può essere considerata multidimensionale. Strutturalmente, è strettamente legato al paradigma cristiano della storia. Questa storia va dal paradiso alla caduta nel peccato, alle svolte nel destino del popolo eletto, poi a Cristo, poi alla Chiesa, poi alla liberazione di Satana dalle sue catene e alla fine del mondo, che culmina nel Giudizio Universale. La fase dell’apparizione dell’Anticristo è l’ultima prima della fine del mondo e della seconda venuta di Cristo. Pertanto, il tema dell’Anticristo può essere preso come strumento per misurare il tempo cristiano, e molto dipende da come si calcola il tempo, dall’atteggiamento nei confronti della società, del mondo, persino della religione. Perché – e questa è la cosa più importante! – L’Anticristo contraffà tutto, la sua epoca è l’epoca della contraffazione. Contraffazione di cosa? Tutto: il mondo, la religione, la società, il potere, l’uomo. È l’epoca dei simulacri, dei surrogati, delle copie perverse. E quindi, di fronte all’elemento dell’Anticristo, il popolo di quest’ultimo periodo deve agire ed essere diverso da prima. Vedendo l’acqua, una stella, un uomo o un tempio, i cristiani del periodo pre-Anticristo li trattano di conseguenza. Ma i cristiani del periodo anticristo sono invitati ad agire diversamente. Non fidarsi, mettere alla prova, essere vigili davanti alle cose più semplici e familiari. Il familiare non esiste più. C’è una fregatura nascosta in ogni cosa. L’età dell’Anticristo è l’età del sospetto.

Catechon e l’Anticristo

La definizione dell’Anticristo ha una dimensione politica nella tradizione ortodossa.

Per esteso, è fondamentale per la storia del cristianesimo quanto segue:

3. Nessuno vi inganni in alcun modo, perché quel giorno non verrà, se prima non verrà l’apostasia e non sarà rivelato l’uomo del peccato, il figlio della perdizione,  3. μή τις ὑμα̃ς ἐξαπατήση̨ κατὰ μηδένα τρόπον ὅτι ἐὰν μὴ ἔλθη̨ ἡ ἀποστασία πρω̃τον καὶ ἀποκαλυφθη̨̃ ὁ ἄνθρωπος τη̃ς ἀνομίας ὁ υἱòς τη̃ς ἀπωλείας
4. Colui che si oppone e si esalta al di sopra di tutto ciò che è chiamato Dio o che è santo, affinché nel tempio di Dio sieda come Dio, affermando di essere Dio.  4. ὁ ἀντικείμενος καὶ ὑπεραιρόμενος ἐπὶ πάντα λεγόμενον θεòν ἢ σέβασμα ὥστε αὐτòν εἰς τòν ναòν του̃ θεου̃ καθίσαι ἀποδεικνύντα ἑαυτòν ὅτι ἔστιν θεός
5. Non ricordi che te l’ho detto quando ero ancora con te?  5. οὐ μνημονεύετε ὅτι ἔτι ὢν πρòς ὑμα̃ς ταυ̃τα ἔλεγον ὑμι̃ν
6. E ora sapete che non vi è permesso di rivelarvi a lui a tempo debito.  6. καὶ νῦν τὸ κατέχον οἴδατε, εἰς τὸ ἀποκαλυφθῆναι αὐτὸν ἐν τῷ ἑαυτοῦ καιρῷ·
7. Perché il mistero dell’iniquità è già all’opera, ma non si compirà finché non sarà tolto di mezzo colui che lo trattiene.  7. τὸ γὰρ μυστήριον ἤδη ἐνεργεῖται τῆς ἀνομίας· μόνον ὁ κατέχων ἄρτι ἕως ἐκ μέσου γένηται.
8. E allora si manifesterà l’impenitente, che il Signore Gesù ucciderà con lo Spirito della sua bocca.  8. καὶ τότε ἀποκαλυφθήσεται ὁ ἄνομος, ὃν ὁ κύριος Ἰησοῦς ἀνελεῖ τῷ πνεύματι τοῦ στόματος αὐτοῦ καὶ καταργήσει τῇ ἐπιφανείᾳ τῆς παρουσίας αὐτοῦ,
9 E distruggerà, con la manifestazione della sua venuta, colui la cui venuta, per opera di Satana, sarà con ogni potenza e segni e prodigi falsi [3].  οὗ ἐστιν ἡ παρουσία κατ’ ἐνέργειαν τοῦ Σατανᾶ ἐν πάσῃ δυνάμει καὶ σημείοις καὶ τέρασιν ψεύδους.

In slavo ecclesiastico i luoghi corrispondenti:

6. E ora lo tratteniamo, affinché gli appaia a suo tempo.
7. Il mistero dell’iniquità è già stato affrontato, in modo che chi resiste ora sarà preservato dal mercoledì.

“Detentore” – τὸ κατέχον – è un participio neutro e si riferisce al “regno”, all'”impero”, mentre “custode” – ὁ κατέχων – è un participio maschile e indica colui che detiene, cioè il “Re”, l'”Imperatore”. Entrambe le parole sono formate dal verbo κατέχειν, tenere, tenere, letteralmente; significa “avere sotto”, “possedere”. Da qui la parola russa per “globo” e “potere” – ciò che il governante, il possessore, “detiene”.

È così che il commento di Giovanni Crisostomo alle Lettere di San Paolo interpreta il tema in questione:

È giusto che chiunque si chieda, prima di tutto, che cos’è un trattenimento (τό κατέχον), e poi si trovi a voler sapere perché Paolo ne parla in modo così vago. Che cosa significa “trattenere”, cioè “ostacolare”? Alcuni dicono che è la grazia dello Spirito Santo, mentre altri dicono che è lo Stato romano; con questi ultimi sono più d’accordo. Perché? Se avesse voluto parlare dello Spirito, non lo avrebbe espresso in termini vaghi, ma avrebbe detto con certezza che la grazia dello Spirito Santo, cioè i doni (straordinari), interferiscono con la sua venuta. Inoltre, sarebbe stato necessario che egli venisse già, se poi fosse venuto quando i doni (straordinari) erano appassiti, perché erano già appassiti da tempo; ma poiché (l’apostolo) ha detto questo a proposito dello Stato romano, è comprensibile perché ne faccia solo un accenno e parli segretamente fino a quel momento. Non voleva incorrere in inutili inimicizie e inutili pericoli. Infatti, se avesse detto che lo Stato romano sarebbe stato distrutto in breve tempo, allora lui, in quanto agitatore, sarebbe stato immediatamente spazzato via, e (con lui) tutti i credenti, in quanto viventi e impegnati per esso.

Per questo non ha usato tale espressione, né ha detto che sarebbe seguito presto, anche se (implicitamente) lo dice sempre. (…) Allo stesso modo dice esattamente qui: “ora tenetevi forte (ò κατέχων) fino a mercoledì”. Cioè: quando lo Stato romano cesserà di esistere, allora verrà lui (l’Anticristo). Ciò giustamente, – perché finché questo stato è temuto, nessuno si sottometterà presto (all’Anticristo); ma dopo che sarà distrutto, si instaurerà l’illegalità ed egli cercherà di rubare tutto il potere, sia umano che divino. Come prima sono stati distrutti i regni, cioè i Medi dai Babilonesi, Babilonia dai Persiani, i Persiani dai Macedoni, i Macedoni dai Romani, così quest’ultimo sarà distrutto dall’Anticristo, ed egli stesso sarà sconfitto da Cristo e non avrà più il dominio. E tutto questo ci viene trasmesso con grande chiarezza da Daniele. “E poi”, dice, “apparirà l’impenitente. E poi? A questo segue immediatamente la consolazione: (l’apostolo) aggiunge: “che il Signore Gesù ucciderà con lo spirito della sua bocca e abolirà con la manifestazione della sua venuta; ma la sua venuta è secondo l’opera di Satana”. Come il fuoco, quando si avvicina, prima della sua venuta tormenta e distrugge i piccoli animali, che sono anche lontani, così allo stesso modo Cristo con il suo comando e la sua venuta ucciderà l’Anticristo. Basta apparire a Lui e tutto questo sarà distrutto. Nel momento in cui apparirà (il Signore), porrà fine all’inganno [4].

L’allontanamento del Catechon-Imperatore dall’ambiente (ἐκ μέσου) è un segno e contemporaneamente il meccanismo della venuta dell’Anticristo. In altri termini, si tratta della transizione dalla società tradizionale (che nell’Ortodossia si esprime nella sinfonia dei poteri e nel principio cesare-papista [5]) – alla società post-tradizionale. Con questo inizia l’ultima era della sostituzione.

Non tutti i cristiani lo ammetteranno, ma nel Medioevo la maggior parte dei cattolici era d’accordo con questa interpretazione della II Lettera ai Tessalonicesi (che parla del “figlio della perdizione” e del “mistero dell’illegalità”) applicata all’Imperatore e all’Impero Romano d’Occidente delle Nazioni Germaniche [6]. Tra l’altro, è crollato nella persona dell’Austria-Ungheria nel 1917, contemporaneamente all’Impero russo e all’Imperatore russo.

Ma anche quei cristiani che interpretano il passo sui catecumeni non politicamente, ma metaforicamente, pensano strutturalmente. “Titolare” con loro assume un significato generalizzato di “pietà”, “santità”, che abbandona la società.

L’Anticristo come misura del tempo

In tutte le correnti escatologiche del cristianesimo, il tema dell’Anticristo si manifesta in un modo o nell’altro. Così, nello scisma russo ha giocato un ruolo fondamentale. Indicativa a questo proposito è la dichiarazione di un Vecchio Credente, rappresentante della setta estrema dei “Vagabondi” (seguace del famoso “corridore” Antipas Yakovlev):

Ascoltate, fratelli, quello che dicono questi adulatori, perché non c’è bisogno di sapere dell’Anticristo. Sì, abbiamo tutta la fede nell’Anticristo [7].

Che cosa significa che “tutta la fede consiste”? Che l’affermazione sulla venuta dell’“Anticristo spirituale” cambia radicalmente l’atteggiamento verso l’ambiente del cristiano. Cambiamenti in relazione a cosa? In relazione al periodo pre-anticristico. Che cos’è il periodo pre-anticristico? Il paradigma dell’esistenza socio-comica di una società cristiana normativa.

Quindi, il ruolo e la funzione dell’Anticristo nel cristianesimo sono chiari. La discussione è tra “già” e “non ancora”. È indicativo che nel cristianesimo contemporaneo si tenda a mettere del tutto fuori parentesi il tema dell’Anticristo. Così il momento ierostorico più importante viene messo tra parentesi e la religione viene de-storificata, de-socializzata, deontologizzata, de-esistenzializzata. Il cristianesimo senza il tema dell’Anticristo è inaffidabile e non riesce a sostanziare il momento temporale. Così perde la sua dimensione più importante e si trasforma gradualmente in un simulacro esso stesso. Lo stratagemma del diavolo, come sappiamo, è quello di suggerire a tutti che non esiste.

Dadjal

Non c’è nulla di inaccettabile nel cercare di trovare analoghi funzionali alla figura dell'”Anticristo” in altre tradizioni e religioni. Questa procedura comparativista è piuttosto semplice. È sufficiente ricordare che la semantica di questi analoghi sarà determinata dal contesto e dalle religioni come lingue.

Nell’Islam è “Dadjal”, “Bugiardo” (الدجّال) o “al-Masih al-Dadjal” (الدجّال المسيح). È raffigurato con un occhio solo (asimmetrico). Combatterà i musulmani e il Cristo che ritorna alla fine dei tempi. (Si noti solo che il Cristo dei musulmani non è il Cristo dei cristiani).

Il vincitore del Dadjal è visto dai musulmani come il Mahdi, che per i sunniti è il leader escatologico della Ummah islamica e per gli sciiti è l’ultimo Imam nascosto.

Claudio Mutti riassume il Dajjal nella tradizione islamica:

Il Mahdi combatterà l’Anticristo, il Messia ingannatore (al-Masih al-Dajjal), che stabilirà il suo regno sulla terra negli ultimi tempi prima che l’Imam appaia. “Vi metto in guardia”, dice l’hadith di Maometto, “dal pericolo della sua venuta”. Non c’è profeta che non abbia parlato di lui alle sue comunità. Anche Noè lo fece per i suoi. Ma vi dirò qualcosa su di lui che nessun profeta ha mai detto ai suoi discepoli. Sappiate che egli è storto da un occhio, ma Allah, Allah non lo è. Questa bruttezza fisica sarebbe un segno della bruttezza generale caratteristica di un falso Messia, che tuttavia sarebbe in grado di nascondere, attraverso il potere della suggestione, il suo vero aspetto. Tuttavia, secondo la credenza diffusa oggi tra i musulmani, Dadjal ha già stabilito la sua egemonia sulla maggior parte della terra. È grande il numero di coloro che hanno saputo individuare tratti diabolici nella moderna civiltà occidentale e che hanno visto nell’immagine tradizionale del diavolo un simbolo del mondo moderno. La parziale cecità dell’Anticristo può allora essere intesa come un’indicazione del fatto che anche la moderna civiltà tecnica (…) vede solo un aspetto della vita, il progresso materiale, e ignora completamente il suo aspetto spirituale”[8].

La sorprendente capacità di Dadjal di vedere e sentire a distanza, di volare a rotta di collo – cioè le sue caratteristiche tradizionali – può essere espressa nei seguenti termini: “Con le sue meraviglie meccaniche, la civiltà moderna permette all’uomo di vedere e sentire ben oltre le sue capacità naturali e di coprire distanze gigantesche a velocità inimmaginabili”[9]. Le profezie sulla capacità di provocare la pioggia e sul potere di far crescere le piante, che sono comuni sia a Dadjal (l’Anticristo) che al Mahdi, ma che nel caso di Dadjal costituiscono una parodia satanica, possono essere identificate all’interno di tali approssimazioni con la scienza moderna. Un altro aspetto delle attività di Dadjal può essere interpretato in modo simile: la scoperta e lo sfruttamento di giacimenti minerari nelle viscere della terra, che egli dovrebbe favorire secondo le previsioni; questo tipo di azione è comune al Mahdi e a Dadjal. Infine, si dice che il falso Messia sia in grado di uccidere e riportare in vita, in modo che i deboli di fede lo scambino per Dio e lo adorino. E, infatti, la medicina moderna “riporta la vita a coloro che sembrano destinati alla morte”, mentre le guerre della civiltà moderna, con i loro orrori scientifici, distruggono la vita. E lo sviluppo materiale di questa civiltà è così “potente e così abbagliante che coloro la cui fede è debole credono che ci sia qualcosa di divino in esso”[10]. Ma coloro che hanno una fede forte leggeranno l’iscrizione a lettere di fuoco sulla sua fronte – “Negare Dio” – e capiranno che si tratta di un inganno destinato a mettere alla prova la fede. L’identificazione del Dajjal con la moderna civiltà occidentale, che ha iniziato ad aggredire da vicino l’Islam a partire dall’epoca dell’espansione coloniale, è avvenuta inizialmente nel quadro ristretto dei movimenti “mahdisti” africani, che si opponevano alla fiera resistenza all’infiltrazione degli infedeli e alle loro attività civilizzatrici. “Recentemente”, si legge in un rapporto coloniale britannico, “gli agitatori hanno acquisito l’abitudine di identificare i conquistatori europei dei Paesi musulmani con Dadjal”[11]. E, alla fine, sarà il Mahdi a essere sconfitto da Dadjal. E spetta a Gesù, “Seydne Isa”, distruggerlo definitivamente: “Spaccherà la croce e taglierà il maiale”, dice l’hadith [12].

Dadjal appare alla fine del ciclo. Sconfiggerlo è l’atto finale della storia sacra.

Nello Sciismo estremo, l’Ismailismo, esiste la figura del “Ka’im”, il resuscitatore (Qāʾem, قائم – letteralmente “colui che sorge”), che è la più alta incarnazione del terzo Logos celeste che discese nel mondo e divenne lo spirito (mente) dell’umanità [13]. Il compito di Ka’im è quello di recuperare le conseguenze fatali dell’errore primordiale che ha commesso quando ha dubitato dell’origine della luce, in seguito al quale è caduto. Qui Dadjal viene interpretato come un’esteriorizzazione di quest’ombra del dubbio che è diventata un oggetto di fronte al soggetto spirituale. Nella battaglia finale di Ka’im con Dadjal, c’è una battaglia del Logos con sé stesso, con il suo lato oscuro.

Naturalmente, questa gestalt non può essere identificata direttamente con l’Anticristo cristiano, poiché i contesti (le lingue) sono diversi, ma le omologie sono evidenti.

Erev

Anche nel giudaismo esiste un soggetto direttamente collegato alla gestalt dell’Anticristo. Si riferisce al concetto di “Erev rav”, “erev rav (עֵרֶב רַב), “le nazioni della grande mescolanza”, commentato dalla Cabala [14].

“Lo Zohar descrive ‘erev rav come segue:

La Grande Mistura è composta da cinque nazioni: i Nephilim (o caduti), i Giborim (o eroi), gli Anakim (o giganti), i Rephaim (o ombre, letteralmente “medici”, “stregoni”) e infine gli Amelikim. A causa di queste nazioni il piccolo lui (ה) del Tertagramma cadde fuori posto [15]. Baleam e Balak provenivano da un ramo di Amalek: togliendo le lettere “lak” da Balak e “eam” da Baleam, rimangono le lettere della parola “Babele” (Babilonia), “perché lì il Signore mescolò la lingua di tutta la terra”. [16].

Il popolo di Amalek sparso sulla terra al tempo della Torre di Babele era il residuo di coloro di cui fu detto al tempo del diluvio: “e distruggerò dalla faccia della terra tutte le cose esistenti che ho creato”[17]. E i discendenti di Amalek durante la quarta dispersione [18] sono quei potenti principi che governano su Israele con la forza delle armi. Di essi si parla anche nel versetto: “Ma il paese si è corrotto davanti alla faccia di Dio e il paese è stato riempito di malvagità”[19].

Dei Nefilim si dice: “Allora i figli di Dio videro le figlie degli uomini, che erano bellissime”[20]. Costituiscono il secondo gruppo della Grande Confusione, provengono dai “caduti” (“Nephilim”) del mondo superiore. Quando il Santo, che sia benedetto, volle creare l’uomo, disse: “Facciamo l’uomo a nostra immagine e somiglianza”[21]. Voleva fare di lui il capo delle creature del mondo superiore, che comandasse e che tutti fossero governati dalla sua mano, sull’esempio di Giuseppe, di cui si dice: “E lo pose a capo di tutto il paese d’Egitto”[22].

Ma le creature del mondo superiore decisero di opporsi e gridarono:

“Che cos’è l’uomo perché tu te ne ricordi”[23], questo è l’uomo che si solleverà contro di te in futuro! Il Santo, benedetto Egli sia, rispose loro: “Se voi stessi foste stati nel mondo inferiore come lui, avreste commesso ancora più crimini di lui! E ben presto “i figli di Dio videro le figlie degli uomini, che erano belle”[24], le desiderarono e il Santo, che sia benedetto, li fece cadere nel mondo inferiore in catene. I figli di Dio si chiamavano Azah e Azael, ma le anime della Grande Mistura che discendono da loro sono chiamate Nefilim, che si condannarono alla caduta fornicando con donne “belle”. Perciò il Santo, che sia benedetto, li ha cancellati dal mondo a venire, in modo che non abbiano parte in esso. Egli ha dato loro un pagamento nel mondo di sotto, che è espresso nelle parole: “Ed Egli ripagherà coloro che lo odiano in faccia distruggendoli; non tarderà”[25].

I giborim (o eroi) rappresentano il terzo gruppo che compone la Grande Confusione, ed è di loro che è scritto “Questi sono i forti, da tempi antichi uomini gloriosi”[26]. Essi provengono dalla stessa stirpe degli uomini della Torre di Babele, che dissero: “Costruiamoci una città e una torre, alte fino al cielo, e facciamoci un nome”[27]. Costruiscono sinagoghe e scuole e vi pongono rotoli di “Torah” con una corona sul capo; ma tutto questo non nel nome di YHWH (הוהי), ma per farsi un nome: “facciamoci un nome”[28]. Ma poiché vengono dall'”altra parte”, disprezzano i figli di Israele come la polvere della terra e li derubano. Quindi il loro lavoro sarà distrutto. Di loro è scritto: “E l’acqua sulla terra aumentò a dismisura”[29].

I Refaim (o ombre) costituiscono il quarto gruppo della Grande Confusione: quando vedono i figli di Israele in difficoltà, si allontanano da loro e, anche se sono in grado di salvarli, si sottraggono. Rifuggono dalla “Torah” e da coloro che la studiano, e vanno a fare del bene agli idolatri. Di loro si dice: “Le ombre non si alzeranno”[30]. Nell’epoca della redenzione di Israele “distruggerai ogni loro ricordo”[31].

Gli Anakim (o giganti) costituiscono il quinto gruppo della Grande Confusione. Odiano coloro di cui si dice: “La Torah è “un ornamento per il tuo collo””[32]. Di loro è scritto: “e furono annoverati tra i Refaim come figli di Enakoff”[33] sono, infatti, degni l’uno dell’altro.

I cinque gruppi della Grande Confusione fanno sì che il mondo torni allo stato di Tohu-Bohu (“Ma la terra era senza vista e vuota”[34]). E “tornare a Tohu-Bohu” significa la distruzione del Tempio.

“La terra era Tohu-Bohu”[35] perché il Tempio era l’asse del mondo. Ma quando verrà la luce, che è il Santo, benedetto Egli sia, saranno spazzati via e distrutti. Tuttavia, la liberazione finale non dipende dalla loro “cancellazione dalla faccia della terra”, ma dalla distruzione di Amalek, perché è in relazione ad Amalekim che è stato pronunciato il giuramento [36].

L’autorevole cabalista Vilna Gaon Eliyahu ben Shlomo Zalman specifica che l'”Erev rav” è “il fermaglio di Giacobbe”. Nel suo commento allo Zohar, dà la seguente interpretazione:

Esaù e Ismaele sono intrecciati ad Abramo e Isacco, ma ‘erev rav è intrecciato a Giacobbe. Perciò l’erev hav è più problematico per Israele e la Shekinah, in quanto sono il lievito nella pasta – perché tutti gli avari e coloro che non sostengono la ‘Torah sono tra loro [37].

Il suo commento a un luogo del libro dei Numeri – “e il popolo parlò contro Dio e contro Mosè: perché ci hai fatto uscire dall’Egitto per farci morire nel deserto, perché qui non c’è né pane né acqua e la nostra anima è disgustata da questo cibo inadatto”[38] – chiarisce:

Il lievito nella pasta è il ‘erev rav, che è peggiore di tutte le nazioni del mondo (goyim), perché impedisce a Israele di adempiere ai comandamenti (mitzvot) [39] e chi svia un amico gli fa più male che se lo uccidesse [40].

La sezione già citata dello Zohar afferma:

La dispersione, l’esilio e la distruzione del Tempio, e tutte le sofferenze, derivano dal fatto che Mosè prese ‘erev rav, e tutti gli uomini malvagi e perversi e i malfattori di tutte le generazioni derivano da loro, dalle loro anime, in quanto incarnazioni di coloro che lasciarono l’Egitto [41].

Si forma così l’idea che insieme al male che viene dall’esterno nei confronti del popolo ebraico, c’è un male che viene dall’interno. Ed è questo male – Erev Rab – che diventa il più importante per alcuni commentatori.

“Erev rab” non è solo dei cristiani (Esaù/Edom) o dei musulmani (Ismaele), ma la commistione dei goyim dell’epoca egiziana con gli stessi ebrei. Gli “Erev Rab” sono coloro con cui Israele combatterà alla fine dei tempi nell’era messianica (Vilna Gaon).

Un allievo di Rabbi Hillel di Shiklov riporta le parole del suo maestro:

Il ruolo principale dei due Mashiach, Mashiach figlio di Giuseppe e Mashiach figlio di Davide, nelle generazioni è quello di difendere e guerreggiare contro le tre klippot (gusci) principali – contro i gusci di Esav [42], Ismaele [43] e ‘erev rav [44]. La battaglia principale deve scoppiare per allontanare da Israele le forze di ‘erev rav, la clippah di Armilus [45]; ‘erev rav è il nostro più grande nemico, che separa i due Mashiach l’uno dall’altro. La klippah ‘erev rav opera attraverso l’inganno e l’elusione, l’adulazione. Perciò la guerra con ‘erev hav è la più dura e amara di tutte [46].

A proposito dell’enigmatica figura di Armilus, anch’essa simmetrica alla gestalt dell'”Anticristo”, il Gaon di Vilna spiega:

Armilus, l’angelo della grande mescolanza, è colui che cerca di unire Esaù e Ismaele [47] per distruggere Israele e il mondo intero, Dio non voglia. Il desiderio principale della grande confusione è quello di unire Esaù e Ismaele, dividendo così i due Mashiach. Il nostro compito principale è opporci a queste azioni e combatterle. Dobbiamo distruggere il potere della grande miscela, la clippah del perverso Armilus, ed espellerla da Israele. La grande miscela è il nostro più grande nemico, perché separa i due Mashiach. Il clippah della grande miscela agisce con l’inganno e indirettamente. Pertanto, la guerra contro la grande miscela è la più difficile e amara, e dobbiamo combatterla con tutte le nostre forze per sconfiggerla. Chiunque non partecipi alla guerra contro la grande miscela diventa parte della sua cricca. Chiunque sia, è meglio che non nasca [48].

Quindi, con questa identificazione, “quel lato” (sitrā ahrā), “l’inferno”, “l’oscurità” si trova non semplicemente intorno agli ebrei, ma all’interno degli ebrei, in loro stessi, come il loro doppio nero inverso disintegrato a cinque gruppi.

Anche qui, come nell’Anticristo cristiano, vediamo il motivo principale: parodia, contraffazione, simulacro. “Erev Rab” non è solo altre religioni o avversari degli ebrei, è una sfida interna, che proviene dalla sostituzione e dalla sottile perversione dell’ebraismo stesso.

Satana

L’ebraismo conosce altre immagini simili. Il primo e più importante è Satana (שָׂטָן), che è stato identificato con il capo degli angeli caduti. Dall’ebraismo, la gestalt di Satana è passata al cristianesimo e all’Islam (shaitan – شيطان). Il significato della radice semitica è “essere ostile” o “fungere da ostacolo”.

Nella storia della sofferenza di Giobbe, Satana discute con Dio sulla devozione dell’uomo giusto che ha benedetto Dio per i suoi doni e favori, ma ha dovuto affrontare la prova della fede negli ultimi labirinti della sofferenza. Così facendo, Satana viene descritto come uno dei “servi” di Dio (e persino “figli di Dio” – בני האלהים), soggetto a Lui e totalmente sottomesso alla sua volontà.

Nell’escatologia ebraica stessa, tuttavia, la figura di Satana non gioca un ruolo chiave – a differenza dell'”Erev Rab”. Nel cristianesimo, invece, il Diavolo appare come il “Padre dell’Anticristo”. Nell’Islam, “Shaitan” o “Iblis” (إبليس) è descritto come colui che per primo si è ribellato a Dio.

Nella tradizione cristiana, la battaglia finale tra gli eserciti angelici guidati dall’arcangelo Michele e le orde diaboliche guidate da Satana avrà luogo alla fine dei tempi.

Nella tradizione latina Satana era identificato con lo spirito della stella della sera, Venere, Lucifero.

Questo cerchio comprende anche le immagini demoniache di Samael, il demone dell’omicidio e del crimine, Aza e Azael, che sono menzionati nello Zohar e negli Apocrifi, i demoni femminili Lilith, Nahem, Agrat bat-Mahlat, ecc. Tutti loro, tuttavia, possono essere considerati come costituenti l'”era del Brav”, la “grande mescolanza”.

Kali Yuga

Nell’Induismo, una situazione escatologica simile si basa sulla mitologia della degradazione dei cicli discendenti ed è radicata nel periodo del Kali Yuga (कलियुग).

Per l’Induismo lo schema ciclico è il seguente. C’è la notte di Brahma e il giorno di Brahma. Durante il periodo notturno di Brahma il mondo non esiste, mentre durante il periodo diurno sì. Poiché Brahma è eterno, i suoi giorni e le sue notti non si susseguono, ma coesistono, esprimendo i suoi due aspetti – quello non rivelato e quello manifestato – Saguna Brahman, Saguna Brahman (Brahma con qualità) e Nirguna Brahman, Nirguṇa Brahman (Brahma senza qualità). Ogni giorno di Brahma (mahakalpa) contiene 1000 kalpa[49]. Ogni kalpa ha 14 manvantar[50] – 7 manvantar di allontanamento e 7 manvantar di ritorno. In ogni manvantara ci sono 4 yuga (satya yuga, treta yuga, dvapara yuga e kali yuga).

L’umanità moderna vive alla fine del kali yuga del 7° manvantara (dopo il quale dovrebbe iniziare il ciclo di ritorno) del kalpa di Varaha (cinghiale bianco).

Dal punto di vista della teoria indù dei cicli, è importante che all’interno dei manvantara venga rispettato l’ordine decrescente degli yuga: gli yuga corrispondono alle età dell’oro, dell’argento, del rame e del ferro di Esiodo, e questo si riflette nella qualità dell’ambiente terrestre e nella loro durata ridotta. Il Satya yuga dura quattro decimi di manvantara, il treta yuga tre, il dvapara yuga due e il kali yuga uno. Parallelamente, i parametri dell’esistenza umana peggiorano sempre di più e, poiché l’induismo considera l’antitesi ordine/disordine, sacro/profano, gerarchico/caotico ecc. la logica del cambiamento degli yuga implica una transizione dall’ordine, dalla sacralità e dalla gerarchia al disordine, al profanismo e al caos. L’ultimo yuga, il kali yuga, rappresenta a sua volta una discesa, solo questa volta nell’ambito del ciclo più basso: è un’epoca di distruzione, confusione, caos, illegalità, ingiustizia e decadenza, soprattutto.

Alla fine del kali yuga, è prevista la venuta del decimo avatar del dio Vishnu, Kalka (कल्कि), re del paese mistico di Shambhala[51]. A questo punto il Kali-yuga del settimo manvantara finirà e inizierà il nuovo satya-yuga del successivo – l’ottavo – manvantara.

Kalki è colui che supera l’oscurità e la sporcizia:

Si dice che alla fine del Kali Yuga, la terra sarà governata dai re Mlechchi. Empi e malvagi, non saranno incoronati correttamente, ma prenderanno il potere con la forza e commetteranno varie atrocità. Non esiteranno a uccidere donne e bambini e a distruggersi a vicenda. L’ascesa e la caduta di tali regni si susseguiranno rapidamente. Questi re non conoscono né la pietà, né il vero amore, né la vera ricchezza. La gente comune seguirà il loro esempio. Tutte le tradizioni attuali andranno perse. I re distruggeranno i loro sudditi, saranno caratterizzati da avidità e cattiva condotta. In quei tempi le donne saranno più numerose degli uomini. L’istruzione decadrà, la forza delle persone diminuirà sempre di più e l’aspettativa di vita si accorcerà. Infine, il tempo fermerà il regno dei re esistenti e non ci saranno più re. Solo la venuta del Signore Kalka porrà fine a tutti i mlechha, gli eretici e gli empi. Inoltre, il Vayu Purana (98.391-407) descrive la fine del Kali Yuga, un tempo in cui solo pochi rimarranno in vita. Saranno mendicanti indifesi, privi di qualsiasi proprietà. Nessuno li aiuterà, soffriranno continuamente di malattie e disgrazie varie, moriranno di fame nella siccità. Si uccideranno a vicenda (per rabbia o fame). Si perderà il senso dell’amore, anche tra gli amici più cari. Le persone si stabiliranno lungo le rive dei fiumi e sulle montagne, vagando per la terra e cercando cibo. Alla fine del Kali Yuga l’umanità sarà distrutta [52].

Il Kali yuga è l’età del demone Kali (कलि). A volte questo punto viene trascurato a causa della vicinanza del nome alla dea nera Kali (काली), la Shakti di Shiva. Ma si tratta di radici diverse: nel nome del demone Kali (kali) entrambe le vocali sono brevi, mentre nel nome della dea Kali (kālī) sono lunghe. In alcuni miti, la battaglia finale tra la dea Kali e il demone Kali culmina nei Secoli Bui. Il demone Kali (कलि) corrisponde funzionalmente alla gestalt dell'”Anticristo”

Va notato che la somiglianza fonetica dei nomi di tutte le figure principali dello scenario escatologico ha un carico simbolico – le condizioni dei tempi finali differiscono in molte religioni e tradizioni proprio perché in questo periodo è facile confondere l’alto e il basso, la verità e il suo simulacro. Il demone nero è un simulacro della dea nera e un nemico, un avversario dell’avatar bianco, Kalki.

Nel Buddismo il re Kalki è citato come sovrano di Shambhala.

Nel buddismo è presente anche il futuro Buddha Maitreya (मैत्रेय).

L’antagonista del Buddha è il demone dell’illusione e della morte, Mara (मार). Sconfiggendo Mara, il Buddha raggiunge la beatitudine e il risveglio.

Ormuzd e Ahriman

Una peculiarità della religione zoroastriana è che in essa la lotta tra il dio della Luce e il dio delle Tenebre dura per tutta la storia del mondo.

Il testo zoroastriano Bundahishn ci parla della sua struttura in questo modo:

Ormazd è sempre stato il più alto in onniscienza, virtù e luminosità. Il regno della luce è il luogo di Ormazd, che egli chiama “luce infinita”, e l’onniscienza e la virtù sono proprietà permanenti (?) di Ormazd. Come dice nell’Avesta, l’Avesta è una spiegazione di entrambi: quello che è costante e infinito nel tempo – per Ormazd, il luogo, la fede e il tempo di Ormazd era, è e sarà sempre – e Ahriman, che nelle tenebre, nell’ignoranza, nella passione della distruzione e nell’abisso era, è, ma non sarà. Il luogo della distruzione e dell’oscurità è quello che viene chiamato “tenebra infinita”. In mezzo c’era il vuoto, (cioè) ciò che è chiamato “aria”, in cui i due (inizi) spirituali, il limitato e lo sconfinato, la parte superiore, ciò che è chiamato “luce infinita”, e l’abisso, “tenebre infinite”, si sono ora mescolati l’uno con l’altro. Quello che c’è tra loro è il vuoto, e l’uno non è collegato all’altro, e <allora> entrambi gli inizi spirituali sono limitati in sé. Per quanto riguarda l’onniscienza di Ormazd, egli è consapevole di entrambi i tipi di creazioni – limitate e illimitate – così come (conosce) il contratto dei due (inizi) spirituali. Inoltre, il potere delle creazioni di Ormazd sarà raggiunto nell’incarnazione finale [53] e diventerà illimitato per sempre. E le creazioni di Ahriman periranno al momento dell’incarnazione finale, e anche questa è senza limiti [54].

È importante notare che Ahura-Mazda e Angro-Manyu si combattono quasi alla pari per il potere sul passato e sul presente. Ahura-Mazda “era ed è” (būd ud ast), e Angro-Manyu “era ed è” (būd ud ast). Il campo di questa battaglia è il “vuoto” (tuhīg) o “aria” (wāy), dove si incontrano i due abissi della Luce e delle Tenebre, il limite e l’illimitatezza. Ma la saggezza di Ormazd sta nel fatto che egli possiede la terza dimensione del tempo sacro, il tempo della guerra – il futuro. Ahriman “era, è, ma non sarà” (būd ud ast kē nē bawēd). Allo Spirito del Male viene negata una cosa, il futuro. Proprio questa negazione predetermina la natura del futuro come inteso dallo zoroastrismo. L’età futura è un’età senza Ahriman.

È interessante notare che l’età di mezzo tra la creazione (Bundahishn) e l’età della separazione finale o del giudizio (Vizarishn) è l’età della confusione. In essa la luce si mescola alle tenebre, la verità alla falsità, l’alto al basso. In un certo senso, questa è l’epoca dell’apostasia, cioè dell’apostasia e della sostituzione. È anche un “periodo di rivalità”. Viene descritto in questo modo:

“Allora, grazie all’onniscienza, Ormazd seppe: ‘Se non creo un tempo di rivalità, egli sarà in grado di ingannare e sottomettere le mie creazioni, poiché anche ora, nell’Età della Confusione, ci sono molte persone che commettono più peccati che azioni giuste.’ E Ormazd disse allo Spirito Maligno: “Accordati (‘accetta’) con i tempi, in modo che la (nostra) lotta nel periodo della Confusione possa durare novemila anni”. Perché sapeva che con l’accettazione di questo (periodo) di tempo lo Spirito maligno si sarebbe esaurito. Allora lo Spirito maligno, non osservante e non intelligente, approvò tale accordo, proprio come due uomini in guerra tra loro stabiliscono un tempo: “In tale e tale giorno combatteremo”[55].

Nello zoroastrismo l’epoca finale, Vizarishn (differenziazione), è la separazione definitiva del bene e del male. Durante questo periodo, i fedeli a Ormuzd combattono una battaglia finale contro i servi di Ahriman.

Alla fine del ciclo appare l'”ultimo Zarathustra” o “secondo Zarathustra”, che agisce come restauratore del mondo buono originario. Questo è il culmine della storia come battaglia:

Secondo la nuova rivelazione ricevuta da Zoroastro, l’umanità ha uno scopo comune con le divinità buone per sconfiggere gradualmente il male e riportare il mondo alla sua forma originale e perfetta. Il momento meraviglioso in cui questo si realizzerà è chiamato Frashokhereti (in Pahlavi Phrashegird), che probabilmente significa “Fare miracoli, operare miracoli”. Qui finirà la seconda era, mentre inizierà la terza, la “Separazione” (in Pahlavi Vizarishn). Allora il bene sarà nuovamente separato dal male e, poiché quest’ultimo sarà definitivamente distrutto, la “Separazione” durerà per sempre e durante tutto questo tempo Ahura-Mazda, le divinità buone-Jazata, gli uomini e le donne vivranno insieme in completa pace e tranquillità [56].

L’analogo dell’Anticristo cristiano è Ahriman stesso, che alla fine della storia ha assoggettato il mondo materiale al suo potere. Nel momento critico del confronto mondiale, Ahriman rivela il suo volto. “L’Anticristo collettivo” dello zoroastrismo può essere considerato un insieme di “figli delle tenebre”, l’esercito di Ahriman, che raggiunge l’apice del potere in un momento cruciale della storia sacra.

Il Polo della Luce si incarna nella figura di Saoshyant, il salvatore, il Re universale che si scontra con le armate delle tenebre nella battaglia finale.

Giganti, titani, giganti

Nella tradizione ellenica – a differenza delle religioni monoteiste e dello zoroastrismo iraniano – non esiste una figura di contrasto che incarni l’inizio del male puro. La struttura stessa della visione del mondo greca gravita verso l’atteggiamento platonico secondo cui “il male è solo una diminuzione del bene” ed è quindi privo di presenza ipostatica, presenza originaria, essenza. Socrate si rifiutava di riconoscere l’esistenza di un’idea (paradigma) nella sporcizia; di conseguenza, non poteva esistere un’idea di male, tanto meno di male puro, in un simile contesto. Anche l’escatologia non aveva un ruolo importante nella cultura greca, poiché l’esistenza ruotava in modo misurato attorno all’immutabile asse divino eterno. In un quadro del genere c’era il bene e solo una relativa diminuzione di esso. Il tempo era l’immagine in movimento dell’eternità. Il mondo era l’immagine dell’Olimpo. Il divenire è l’immagine dell’essere. Al centro delle cose c’è il motore inamovibile, che è l’unico inizio e fine veramente importante e significativo – fonte e destinazione.

L’atteggiamento equilibrato della religione greca nei confronti degli dèi dell’Ade, il regno dei morti, è indicativo. Ade e Persefone, che vi regnavano, avevano i loro culti e templi, riti e miti. L’Ade era visitato anche dagli dèi dell’Olimpo Zeus stesso, Apollo, Dioniso ed Ermes. Il dio-fabbro Efesto era associato alle regioni sotterranee. Anche l’Ade era considerato un luogo ordinato, con le sue strutture divine come parte dell’armonia del mondo.

Ma i Greci conoscevano anche la titanomachia e la gigantomachia: una ribellione dei titani e dei giganti contro il potere degli dèi eterni, un tentativo di divenire contro l’ordine immutabile ed eterno dell’Olimpo.

Pertanto, gli analoghi della figura dell'”Anticristo” nella tradizione greca vanno ricercati tra i titani e i giganti, nonché tra i personaggi eroici a loro vicini.

Così, nella mitologia greca sono presenti caratteristiche particolarmente sinistre: il titano Prometeo, i mostri ctonici simili a serpenti Pitone e Tifone, il re dei giganti Eurimedonte e il loro capo nella ribellione contro gli dèi nei campi flegrei Alkionaeus, ecc. I miti sostenevano che c’erano 12 titani supremi e giganti principali secondo il numero degli dèi del Monte Olimpo. Ognuno dei mostri ctonici – giganti – cercava di rovesciare il dio che gli si opponeva: Alcioneo ad Ade, Polibot a Poseidone, Mimantes a Efesto, Enkelad ad Atena e Porfirio a Zeus stesso.

Qui vediamo la stessa simmetria che caratterizza la gestalt dell'”Anticristo”, che imita Dio, che cerca di spacciarsi per lui, sostituendo una copia della realtà. Titani e giganti non sono solo avversari degli dèi, ma anche loro simulacri, che cercano di spacciarsi per loro.

Altre tradizioni politeistiche conoscono lo stesso tipo di esseri a simmetria inversa, analoghi agli dèi e ai titani (giganti) dei Greci. Nell’Induismo e corrispondono ai deva e agli asura, nel Mazdeismo alla proporzione inversa di ahura e deva. Nei miti germanici, agli assi celesti si oppongono i giganti ctonici ineisti Jotun.

Altre mitologie descrivono in modo simile le battaglie e gli scontri tra vecchi e nuovi dei. Nella tradizione semitica occidentale di Canaan una figura simile di dio combattente era Ba’al, una divinità più giovane privata della sua eredità, che decise di sottrarla con la forza schiacciando suo padre, il vecchio dio Ilu [57].

L’antagonismo veramente netto tra gli dèi e i loro avversari ctonici lo vediamo solo nella tradizione iranica, riconducibile al dualismo metafisico di Ormuzd e Ahriman. In altre mitologie e sistemi religiosi – in primo luogo nell’ellenismo – non svolge un ruolo religioso principale. Di conseguenza, la dimensione escatologica in queste tradizioni è delineata in modo piuttosto vago.

Tuttavia, anche queste gestalt mitologiche possono, con alcune riserve, essere attribuite all’archetipo “Anticristo” che ci interessa.

Analisi strutturale dello scenario escatologico, il “calendario anticristo”, la morfologia della fine del mondo

Nelle teologie sviluppate – e soprattutto nel contesto del monoteismo – la battaglia finale e il momento dell’arrivo dell'”Anticristo” assumono un significato speciale, distinto dal contesto generale del tempo. In un certo senso, le parole del Vecchio Credente russo “Abbiamo tutta la nostra fede nell’Anticristo” si applicano a tutte le tradizioni monoteistiche, dove il dramma del confronto con il nemico, con lo spirito del male rovesciato, è un problema centrale. Il tema stesso della “fine dei tempi” è evidenziato in una direzione separata: l’escatologia, la dottrina della fine.

In altre religioni e tradizioni, soprattutto politeiste, la metafisica della guerra, della battaglia finale, è in qualche modo attenuata. In termini di forma – morfologia – può essere ridotta alla ripetizione invariabile di situazioni cicliche, sono prototipati dal ciclo annuale.

Se descriviamo la morfologia della fine del mondo in questo contesto, otteniamo un classico modello ciclico-calendario.

I tempi bui sono l’inverno/la notte/l’oscurità/la freddezza/la morte. Questo è l’entourage. “L’Anticristo del calendario” è una personificazione del periodo che precede immediatamente il punto di mezzanotte nel ciclo diurno o il punto del solstizio d’inverno nel ciclo annuale.

Da dove viene la parodia? Nella morfologia del calendario tutto è chiaro: il crepuscolo serale è simile al crepuscolo mattutino, l’autunno alla primavera, l’alba all’alba, la stella del mattino alla stella della sera (Lucifero dei Romani).

Il simbolismo ciclico e la mappa/calendario sono chiaramente alla base dell’insieme linguistico con cui operano le tradizioni.

L’oggetto delle figure analoghe all’Anticristo cristiano può essere ridotto a questa morfologia del calendario.

In termini di ricerca connotativa, questo ci dà un risultato esaustivo, in quanto offre una mappa segnica che può essere applicata anche a mitologie e teologie più complesse. In questo senso l’escatologia è – almeno strutturalmente – derivabile da un marcato simbolismo ciclico.

Ma in termini denotativi, ci troviamo in una situazione in cui dobbiamo ammettere di avere a che fare con un’ipostasi di fenomeni naturali elevati al rango di identità religioso-mitologica; cioè, la denotazione dell'”Anticristo del calendario” è solo un settore del ciclo naturale e della sua corrispondente topologia simbolica (il mare, il mondo sotterraneo, le fosse, le tane, le radici, il fondo – da cui proviene Shamballa, ecc.)

L’avversario dell'”Anticristo del calendario”, quindi, è il ciclo successivo, simmetricamente situato rispetto ad esso dall’altra parte del punto di solstizio invernale. Due rune UR (due montagne, due corna, due porte, Giano bifronte, due gemelli, ecc.) illustrano con sufficiente chiarezza tutti i possibili motivi di scenario [58].

La sociologia dell’Anticristo

L’introduzione della calendarità e della ciclicità ci permette di dare all'”Anticristo” (in una forma strutturalmente generalizzata) anche un’interpretazione sociologica. È uno stato della società con un fine opposto a quello normativo. Tali osservazioni cicliche della società si trovano già in Ibn Khaldun, il padre della sociologia [59]. La società attraversa fasi cicliche, alla fine di un ciclo ne segue uno nuovo. La fine del ciclo sociale è l'”ultima volta” della sociologia.

La società è concreta; questa concretezza della società si riflette nella struttura della sua temporalità; la società prima o poi si degrada e si disintegra (non se stessa, ma la sua concretezza). Segue un periodo di anarchia e caos, poi una nuova società inizia un nuovo ciclo. Si tratta di una nuova concretezza, Sorokin lo descrive attraverso la seguente serie: società idealistica/idealistica/sensualistica, e ancora idealista [60].

In questo senso l’escatologia è un periodo che completa la società concreta. E l’Anticristo come fenomeno sociologico può essere visto come una generalizzazione o personificazione dell’ultima agonia di questa società.

Secondo Sorokin, il modello sensuale del sistema socioculturale è lo stadio finale prima della nuova idealizzazione. Il culmine del sistema sensuale, secondo Sorokin, è l'”Anticristo sociologico” e il sistema sensuale stesso è il “kali yuga” o società apocalittica.

È indicativo che anche il cristianesimo colleghi il momento dell’arrivo dell’Anticristo con i cambiamenti sociopolitici (cioè con il “prelievo dall’ambiente dei catecumeni” – secondo Giovanni Crisostomo).

Le società sono diverse, quindi le loro escatologie sociali sono strutturalmente simili, ma temporalmente/storicamente diverse. Ciò che è fiorente per una società può sembrare un declino per un’altra. Tutto dipende dalla struttura della concretezza.

Solo la società stessa sa cosa sia realmente e, di conseguenza, solo al suo interno è possibile concepire la sua fine, la sua fase escatologica.

Il concetto di controiniziativa. La grande parodia. “L’Anticristo delle radici”

Dopo questa digressione metodologica, torniamo al problema posto all’inizio: questa figura generalizzata dell'”Anticristo”, che abbiamo rintracciato in vari contesti religiosi, morfologici e persino sociologici, ha una denotazione ontologica comune? Esiste un “Anticristo generalizzato”?

Supponiamo che sì, e che Guénon abbia letteralmente ragione (e non solo dal punto di vista sociologico e strutturale). Intendiamo dire che il tradizionalismo ha un proprio campo denotativo, che rappresenta una serie ontologicamente autentica di significati. In altre parole, i termini e le costruzioni del tradizionalismo corrispondono in realtà ad alcune realtà “extralinguistiche”. Inoltre, queste realtà non si comprendono attraverso il reticolo di specifiche tradizioni (e specifiche società), ma vi si accede direttamente – attraverso il tradizionalismo stesso.

In questo caso, otteniamo un linguaggio radicale (cioè radice, da radix – “radice”) nel tradizionalismo, insieme al campo semantico radicale e (soprattutto) all’ontologia radicale delle denotazioni corrispondenti, e le tradizioni e le religioni specifiche saranno in questo caso modificazioni di queste istanze radicali che acquisiscono, a causa del loro particolarismo e della loro relatività, caratteristiche distintive nella sfera:

  • connotazione (relazioni strutturali),
  • semantica (i significati costruiti su questi collegamenti),
  • il linguaggio stesso (come insieme universale di segni, regole e paradigmi),
  • denotazioni costituite (percepite) (ontologia propriamente detta).
  • In realtà, questo è esattamente ciò che sostiene lo stesso Guénon.

Se questo esiste, e nella persona del tradizionalismo abbiamo a che fare non solo con la tecnica meta-linguistica, ma con tutti e tre gli strati (significato-significazione-significante), allora c’è anche il tradizionalista o radice (radicale) denotata, le cui modifiche sono le figure simili all’Anticristo cristiano. E questo è chiaramente descritto da Guénon quando propone due termini tradizionalisti, “controiniziazione” e “la grande parodia”[61]. Egli basa il meccanismo della “Grande Parodia” sull’immagine dell'”apertura dal basso dell’Uovo cosmico della Pace”.

In questo modello, oltre all’Anticristo cristiano e a figure simili di altre tradizioni, la cui denotatività è giustificata (costituita e dotata di status ontologico) da queste stesse tradizioni particolari, abbiamo a che fare con una nuova denotatività speciale che generalizza l’ontologia di tutte queste forme religiose-sociali particolari, con l'”Anticristo radicale”.

Una generalizzazione sull’Anticristo e l’”Anticristo concreto”

Abbiamo ottenuto le seguenti finestre o vie d’accesso all’oscuro problema dell'”ontologia” e della “semantica” della figura dell'”Anticristo”.

In primo luogo, possiamo considerare la gestalt dell'”Anticristo” come una catena di figure separate e semanticamente isolate che svolgono funzioni più o meno simili in diversi insegnamenti e tradizioni religiose, così come in diversi contesti sociali e complessi rituali-calendari. In questo caso, si tratta di entità semantiche, connotative e denotative (essenze), costituite o percepite da tradizioni specifiche.

Queste costruzioni o fenomeni dipendono dalla struttura di una particolare religione e tradizione, dalla società basata su di essa, dal sistema politico normativo. Cioè il contesto socioculturale, epistemologico e antropologico.

Poiché le tradizioni, le religioni e le società specifiche sono diverse, in ogni caso abbiamo a che fare con un’essenza diversa, anche se tipologicamente paragonabile.

Secondo la legge di Sepir-Whorf, non esiste una traduzione diretta tra le lingue. Non esiste nemmeno una traduzione diretta tra tradizioni, religioni e società. Quando le persone di una particolare società (una particolare tradizione, cultura, civiltà) vedono che la loro normatività sta crollando, si rivolgono alla figura dell’Anticristo, di Dadjal, di Ahriman, ai concetti di Kali Yuga, Ragnarekra, ecc. come un’etichetta, un momento semantico essenziale, alla loro realtà intimamente connessa con l’essere sociale e la sua storia. E avendo attivato tale concetto, iniziano ad agire di conseguenza.

Ma ogni volta si tratta di un’attualizzazione completamente concreta, cioè l’essere dell'”Anticristo” è in ogni caso separato e distinto. Possiamo mettere in relazione gli “Anticristi” tra loro solo nella forma di un comparativismo a posteriori. Non penetriamo nell’essere proprio di questo archetipo generalizzato.

Qui abbiamo a che fare con un occasionalismo e dobbiamo trattare l’argomento in modo occasionalista e pluralista. Per alcuni l’Anticristo è così e per altri è diverso. Le prescrizioni e i paradigmi di percezione possono essere diversi, così come le reazioni e le conclusioni.

Ma, allo stesso tempo, la fissazione su questa figura e le osservazioni comparativiste, se condotte con attenzione e con una considerazione approfondita delle caratteristiche che rendono ogni società, tradizione, religione o cultura distinta e diversa dalle altre – possono, in alcuni casi, aiutarci a comprendere meglio ciascuna di queste figure. Ciò che si sa su Ahriman può rivelarsi utile per comprendere il diavolo nel cristianesimo; i dettagli riportati su Dadjal possono far luce sulle strutture dell'”era di Rav”; e le storie del “Kali Yuga”, da parte loro, possono chiarire alcuni aspetti dell’Apocalisse.

“Anticristo situazionale”

In secondo luogo, abbiamo davanti a noi un’ampia possibilità di generalizzazioni morfologiche, di natura ciclica, sociologica e semiotica. Questo ci permette di avvalorare una certa somiglianza tra le “situazioni dell’Anticristo”.

Queste situazioni hanno effettivamente molte caratteristiche comuni. Anche in questo caso il quadro – come nel caso delle religioni – si rivela fruttuoso per la ricerca comparativista, ma con gli stessi limiti. La differenza in questo caso è la “metaforicità” dell’interpretazione: il solstizio d’inverno, con tutto il suo significato cultuale, o la catastrofe sociale che porta alla distruzione della società o della cultura, non sono abbastanza concentrati da fornire un’esperienza di tensione così alta e concentrata come nel caso della figura dell'”Anticristo” in un contesto religioso.

Detto questo, l’analisi morfologica è solo una visione distante dall’esterno. Una pura sovrastruttura di metalinguaggio. In questo caso si tratta solo di osservazione e non possiamo incontrare l’essenza del fenomeno, né (tanto meno) guardarlo in profondità.

Il naturalismo dell’approccio del calendario illustra solo come, nel risolvere un problema, ci si possa allontanare da esso. A meno che, naturalmente, non si faccia il contrario e si viva il dramma del nuovo anno come un nodo di tragedia estatica esistenziale. Molti rituali arcaici erano proprio questo, fino a quando la convenzionalità del sacrificio ha sostituito l’orrore penetrante del vero tormento rituale e della morte.

Ontologia radicale

Infine, arriviamo alla cosa più importante, alla possibilità di interpretare la figura dell'”Anticristo” come una certa unità ontologica che possiede un essere indipendente dai contesti culturali e religiosi, ma che, al contrario, li influenza. Tale figura richiede di accettare il tradizionalismo e le sue generalizzazioni non come una costruzione tecnica a posteriori, ma come un campo di riferimento a un essere reale strutturato in modo particolare. Un tale approccio richiede di trattare con la massima fiducia Genone o teorie simili di ontologie sacrali universali (soprattutto i neoplatonici e, in particolare, la ricostruzione di Proclo della Teologia di Platone [62] o della Teologia Primordiale [63]). Ciò significa che siamo disposti ad accettare il tradizionalismo come linguaggio radicale, cioè non solo come schema morfologico, ma come campo ontologico di denotazioni radicali. La radicalità sta nel fatto che questo campo precede una catena di figure (sempre relativamente) omologhe di specifiche tradizioni o contesti socio-culturali, proprio come una radice precede un tronco e dei rami.

Tuttavia, è bene ricordare che tale radicalità non significa necessariamente precedenza cronologica: dopo tutto, le radici non esistono prima dell’albero, ma insieme all’albero. Pertanto, la nozione di Tradizione primordiale di Guénon non deve essere interpretata come un riferimento a un passato indefinitamente lontano. La primordialità – almeno quella ontologicamente intesa – è sempre contemporanea. Può essere più o meno aperto e manifesto – o, al contrario, nascosto e celato (a seconda della situazione ciclica) – ma non può fare a meno di essere qui e ora. Se accettiamo la tesi di base del tradizionalismo, è l’esistenza della Tradizione Primordiale a rendere valida e sacra ogni particolare tradizione empiricamente fissabile, e per questo la Tradizione Primordiale non deve essere anteriore alla tradizione storica, ma all’interno di essa, insieme ad essa, sincrona con essa.

Un’altra precisazione. Non è corretto considerare nessuna delle tradizioni esistenti come un esempio perfetto e un’identità diretta della Tradizione primordiale, mentre altre dovrebbero essere considerate come sue distorsioni, varianti o deviazioni. Ogni tradizione storica è sempre un contesto semantico e semiotico specifico, e quindi non può essere un paradigma allo stesso tempo. Lo stesso Guénon segue questa concezione, chiarendola nel caso dell’Induismo come tradizione più primaria e dell’Islam come tradizione ultima e finale. Proprio questo perfezionamento può essere controverso, come appare evidente, ad esempio, nell’accettazione da parte di Guénon della cristologia nestoriana – riflessa nell’Islam – come soluzione finale, ma nel complesso, con alcune correzioni, la definizione di universalità e primordialità di Guénon è corretta ed equilibrata.

Così come è praticamente difficile astenersi dall’attribuire la “primordialità” a una sola tradizione, è anche grande la tentazione di ipotizzare l’esistenza di un’altra religione o tradizione – separata – accanto a tutte quelle conosciute ed esistenti, per quanto segreta o difficile da raggiungere, che porterebbe in sé l’insieme delle strutture radicali. Le descrizioni a volte troppo dettagliate e formalizzate di Guénon sull’esoterismo e sulle pratiche iniziatiche ad esso collegate possono portare a questa – perversa – conclusione. Una dimensione esoterica può essere – e persino dovrebbe essere – in ogni tradizione sacra autentica, ma nessuna di esse può rappresentare questa “tradizione esoterica” nella sua interezza, e contemporaneamente tale “tradizione esoterica” non può esistere accanto alle altre come qualcosa di speciale e separato.

La vera primordialità (cioè la vera radicalità) ha una natura diversa: non può precedere le tradizioni empiricamente fissate, né coincidere con una di esse, né esistere accanto ad esse come qualcosa di separato. Rappresenta una particolare dimensione verticale presente nel dato di una particolare tradizione, ma mai coincidente con questo dato.

L'”Anticristo radicale” e la sua esperienza

Accettata l’esistenza di un’ontologia radicale, possiamo avvicinarci alla figura dell'”Anticristo” da un’altra prospettiva. Questo può essere definito come l’identificazione della figura dell'”Anticristo radicale”. L'”Anticristo radicale” appare quando si accetta l’ipotesi dell’esistenza di un denotativo ipostatizzato per il linguaggio tradizionalista.

In questo caso, dobbiamo fissare una certa zona in questo campo del tradizionalismo, dove identifichiamo quella gestalt radicale, che si rivela in una variazione indefinitamente ampia di figure omologhe. Queste figure sono il fulcro delle narrazioni escatologiche delle varie tradizioni, da quelle calendariali e rituali a quelle religiose e socio-culturali. “L’Anticristo radicale” è quella comunanza che è insita nelle immagini e nelle situazioni tipiche a noi note, ma non come risultato dell’osservazione e del confronto, della comparazione e delle operazioni analitiche, bensì come momento di speciale esperienza metafisica. La presenza di questa essenza passa attraverso le forme religiose e culturali che abbiamo brevemente elencato, ma non coincide mai completamente con esse. Non ha nemmeno un’esistenza indipendente e separata dai loro contesti: possiamo parlare di “esoterismo dell’Anticristo”, ma non di “Anticristo esoterico”. L'”Anticristo radicale” traspare attraverso le tradizioni, unendo ad esse alcune immagini di esse. Allo stesso tempo, egli è effettivamente presente in queste immagini ed entità come loro dimensione interiore, come loro verticale spirituale. Egli è la radice comune, che è per ogni ramo dell’albero la propria radice. Così l’incontro con la figura dell’Anticristo (Dajjal, Ahriman, Erev Rab, con i titani, con il demone Kali, Mara, ecc.) e con simili momenti socio-culturali delle società in via di estinzione può essere limitato a un contesto specifico, oppure può penetrare attraverso di esso – nelle dimensioni interne, nella regione delle radici. È così che si struttura l’esperienza radicale.

Il riconoscimento di questa dimensione e dell’esperienza unica ad essa associata si basa sul riconoscimento dell’ontologia speciale – anche radicale – del tradizionalismo. Pertanto, possiamo definire questo tipo di esperienza come primordiale.

Antikeimenos come concetto

Per dare alla gestalt dell'”Anticristo radicale” un carattere più formale, si può proporre un altro termine tecnico neutro che, date tutte le considerazioni precedenti, potrebbe diventare un concetto efficace. Con questo concetto si potrebbero evitare le connotazioni dirette con uno specifico contesto religioso – in questo caso cristiano – che ci porterebbero inevitabilmente – in una misura o nell’altra – lontano dall’esperienza metafisica dell'”Anticristo” nella sua dimensione radicale – primordiale. Il termine greco ὀ ἀντικείμενος è suggerito come tale. Il suo significato di base è “avversario”, “nemico”, “avversario”. La sua etimologia è trasparente: si tratta di un participio del verbo ἀντίκειμαι, a sua volta composto dal prefisso ἀντῐ- (“contro”, “opposto”) e dalla radice κεῖμαι (“mettere”). ὀ ἀντικείμενος, colui che “si oppone”, “si oppone”, è il “contrario”. Il nucleo semantico comprende anche l’idea di resistenza, opposizione, ostilità e persino malignità. Tutto sommato, questo è abbastanza vicino alla semantica della parola ebraica Satana (śāṭān).

È significativo che il termine ὀ ἀντικείμενος sia usato nello stesso fondamentale per tutta l’escatologia cristiana della Seconda Lettera di San Paolo ai Tessalonicesi, che parla di Catechon, “che regge ora”. Riportiamo la frase:

3. Nessuno vi inganni in alcun modo, perché quel giorno non verrà, finché non sia venuta prima l’apostasia e non sia stato rivelato l’uomo del peccato, il figlio della perdizione,
4. Colui che si oppone e si esalta al di sopra di tutto ciò che è chiamato Dio o che è santo, affinché nel tempio di Dio sieda come Dio, pretendendo di essere Dio[64].
5. μήτις ὑμα̃ς ἐξαπατήση̨ κατὰ μηδένα τρόπον ὅτι ἐὰν μὴ ἔλθη̨ ἡ ἀποστασίαπρω̃τον καὶ ἀποκαλυφθη̨̃ ὁ ἄνθρωπος τη̃ςἀνομίας ὁ υἱòς τη̃ς ἀπωλείας
6. ὁ ἀντικείμενοςκαὶ ὑπεραιρόμενος ἐπὶ πάντα λεγόμενον θεòν ἢ σέβασμα ὥστε αὐτòν εἰς τòν ναòν του̃ θεου̃ καθίσαι ἀποδεικνύντα ἑαυτòν ὅτι ἔστιν θεός.

È l’Anticristo ad essere chiamato “uomo del peccato” (ὁ ἄνθρωπος τη̃ς ἀνομίας), “figlio della perdizione” (ὁ υἱòς τη̃ς ἀπωλείας – nota, che anche in questo caso l’Anticristo parodizza Cristo, che si esprime chiamandolo “figlio”), “esaltato” (περαιρόμενος) e “osteggiato” (ὁ ἀντικείμενος). Antichæmenos è l’Anticristo. E in questo senso il termine conserva pienamente il suo legame con l’intero complesso di queste figure nel loro contesto cristiano.

Tuttavia, se questa corrispondenza non viene deliberatamente acuita, è possibile operare più liberamente con la nozione di “anti-Keimenos”. Può significare tutto ciò che contestualmente, ma in modo necessariamente ampio e convincente, possiamo intendere per “nemico”, “avversario”. E il “nemico principale”, il fondamentale, l’assoluto – la radice, il radicale, il primordiale. Questo si correla perfettamente con il Diavolo, Satana, che nella tradizione cristiana viene talvolta chiamato anche “il nemico”, “la forza nemica”, “il nemico della razza umana”. Antikemenos è la gestalt del nemico assoluto. In questo senso, il termine si applica all’Anticristo propriamente detto, a Dadjal, a Erev Rav, ad Ahriman, al demone Kali, ai titani, ai giganti e ad altre forze delle tenebre, che rappresentano una sfida mortale per persone, religioni, società e culture.

Allo stesso tempo, nel passo citato di San Paolo, l’Antikemenos è logicamente legato alla figura del Catechon, perché è la presenza del Catechon (ὁ κατέχων) che impedisce la venuta dell’Antikemenos. I due gestalt sono inestricabilmente uniti dalla struttura dello scenario escatologico. L’essere stesso di Catechon ha come scopo principale quello di prevenire la comparsa dell’Antikeimenos, ma è vero anche il contrario: lo scopo dell’Antikeimenos è quello di spezzare la resistenza di Catechon.

Antikeimenos e la teologia politica

Ora è opportuno ricordare l’importante ruolo svolto da Catechon nella politica cristiana, dove nel Medioevo – e in parte durante il più lungo periodo di conservazione del paradigma bizantino nell’Europa orientale (fino alla teoria di “Mosca è la terza Roma”) – era la presenza o l’assenza di un Impero a fungere da punto di riferimento per il tempo escatologico. La società cristiana ha naturalmente tenuto questo conto dalla parte del Catechon, essendo solidale con esso e con l’ordine in esso incarnato – l’ordine romano. Ma la localizzazione di un tale punto di osservazione doveva necessariamente coinvolgere Anticaemenos, che in qualsiasi momento poteva emergere da un varco nel recinto catechistico della polis cristiana. In altre parole, l’Antichæmenos, che non era stato sufficientemente concettualizzato, era costantemente e invariabilmente presente nel cuore del pensiero politico cristiano.

Nel XX secolo l’importanza di Catechon per l’intera struttura della politica europea è stata ricordata dal filosofo tedesco Carl Schmitt,[65] dopo di che il termine stesso è stato utilizzato abitualmente in un contesto di scienza politica allargata, intendendo lo Stato come figura secolare di “teologia politica”. Di conseguenza, anche l’antitesi Catechon – Antiquemenos ha ricevuto un contenuto concettuale. Tanto più che la Nuova Era è stata proprio il periodo della frantumazione del vecchio ordine e delle istituzioni socio-politiche ad esso associate. Questa gestalt, dunque, significa l’origine di quel potere storico e politico che mira alla frantumazione delle strutture della società tradizionale – religiose, di classe, gerarchiche. In questo caso, la modernità stessa risulta essere un’espressione dell’anti-Cheimenos, poiché il suo scopo apertamente proclamato è quello di rovesciare e abbattere i sistemi e le istituzioni tradizionali. La gestalt dell’Antikeimenos coincide quindi semanticamente con i concetti di progresso, liberalismo, modernizzazione, ecc. Antichaeomenos significa rivoluzione.

Un oggetto ribelle

Va notato, tuttavia, che il termine filosofico ὑποκείμενον, tradotto in latino come sub-jectum, sub-stratum o sub-stantia, si forma in modo del tutto simile in greco. Sia nel significato che nella struttura, ἀντικείμενον può significare e significa oggetto. Non esisteva una coppia soggetto/oggetto strettamente delineata nella filosofia greca, ma se facciamo una traduzione inversa in greco antico otterremmo esattamente ὑποκείμενον/ἀντικείμενον. Così ἀντικείμενον è anche un oggetto con la sua intera portata di significato. E, ancora più precisamente, è soprattutto l'”oggetto”, l'”oggetto”, ciò che sta “davanti” all’osservatore, oltre il limite esterno.

In questo senso filosofico, anti-Keimenos (forse qui andrebbe scritto con una lettera minuscola) significa quella cosa esterna che è al di là della presenza osservante.

Questa ambiguità di Antikeimenos come “Anticristo” e Antikeimenos come oggetto è estremamente espressiva. La nuova era della scienza, della cultura, della politica, dell’ideologia rappresenta proprio uno spostamento del centro dal soggetto all’oggetto – verso la materia, la “realtà”, la densità, nell’area delle parti senza il tutto, cioè delle parti dell’ignoto di cosa – delle parti della gestalt assente. E, di conseguenza, è del tutto possibile parlare di funzione cateconica del soggetto, che rimane (laddove esiste ancora) custode di un ordine sacrale, per quanto indebolito e fiaccato. Se il soggetto è sinonimo di “Anticristo politico”, allora il soggetto assume il significato e la missione del catechon.

Se ora proiettiamo queste consonanze sulla sempre più diffusa ontologia orientata agli oggetti (OO), la simmetria che abbiamo costruito sulla base del termine ὁ ἀντικείμενος si rivelerà ancora più pienamente. Gli stessi filosofi dell’OOO distinguono sempre più chiaramente all’esterno delle cose (degli oggetti) i tratti sinistri di una divinità oscura, portatrice di un orrore assoluto [66]. L’obiettivo dei realisti speculativi (C. Meijasu[67], H. Harman[68], ecc.) è proprio quello di abolire definitivamente il soggetto liberando da esso le ontologie oggettuali autonome precedentemente soppresse dalle proiezioni razionaliste. Il rovesciamento delle strutture dell’ordine è anche l’obiettivo primario di questo potere timorato di Dio, che agisce come diretto avversario di Catechon nello scenario escatologico.

Antikeimenos e il soggetto radicale

Il termine “Antikeimenos” è l’equivalente del termine “Anticristo radicale”. Non aggiunge nuove proprietà o caratteristiche all'”Anticristo radicale”, ma permette di operare liberamente con esso – non solo in un contesto teologico o di teologia politica, ma di ricorrervi in casi analoghi ma più astratti dalla religione e dall’escatologia religiosa, conservando tutto il contenuto profondo della corrispondente esperienza metafisica primordiale.

Antikeimenos può essere applicato alla filosofia come equivalente oggettuale, ma che contiene già un riferimento alla realtà loughcraftiana degli dei dell’orrore o all’irruzione delle orde infracorporee di Gogs e Magogs da sotto l'”Uovo della Pace” (nello spirito del simbolismo di R. Guénon [69]).

D’altra parte, ci permette di staccarci dalla concretezza dell’insegnamento cristiano sui tempi della fine e di operare liberamente nel dialogo con i rappresentanti di altre tradizioni religiose, che troveranno molto più facile accettare un termine neutro, inserendovi i propri contenuti. Al posto di queste formule sincretiche – Dadjal/Anticristo – e di altre ancora più ingombranti, si potrebbe fare riferimento all’Antikeimenos.

Un’altra caratteristica notevole di questo concetto è la possibilità di un suo utilizzo operativo in contesti di scienza politica, sociologia e studi culturali – per analogia e in diretta simmetria con il concetto di Catechon, che si è diffuso in seguito alla felice interpretazione di Carl Schmitt [70].

Infine, Antikeimenos si adatta al meglio al significato primordiale di quell’ontologia radicale che riconosciamo (se accettiamo) come tradizionalismo. E, in quanto tale, il termine diventa un cruciale contro-polo simmetrico al Soggetto radicale, un’altra figura dell’ontologia radicale [71]. Da questa simmetria si può imparare molto e fare luce su entrambe le gestualità. Ma questo è l’argomento della prossima serie di studi.

Traduzione a cura di Lorenzo Maria Pacini