Il paradigma della Fine [4/7]

Traduzione a cura di Loreno Maria Pacini
Il paradigma geopolitico della storia
La riduzione geopolitica è conosciuta molto meno del modello economico, ma la sua convincenza e chiarezza, tuttavia, è abbastanza paragonabile al paradigma del Lavoro-Capitale. C’è anche nella geopolitica la parte teleologica delle nozioni, che rappresentano il soggetto della storia, ma questa volta colta non nel suo aspetto economico, ma nell’aspetto della geografia politica. Si tratta dei due soggetti geopolitici: il mare (Talassocrazia) e la terra (Tellurocrazia). L’altro pare è sinonimo di loro, l’Ovest-Est, dove l’Ovest e l’Est sono considerati non solo come nozioni geografiche, ma come blocchi di civiltà. L’Occidente è, secondo la dottrina dei geopolitici, uguale al Mare. L’Est (Oriente) è uguale alla Terra.
In questo momento ci interessa la sintesi della storia, convertita in termini geopolitici, il punto escatologico, che si vede così chiaramente a livello dell’economia. Lì il problema è formulato come segue: Il Lavoro ha dato battaglia al Capitale e ha perso. Viviamo nel periodo di questa perdita, che è considerato dalla scuola economica liberale come quello finale, da cui il tema della “Fine della storia” di Fuckuyama o l’ultima “Formazione delle scimmie” di Jaques Attali. Si può vedere qualche analogia con tale situazione nella geopolitica? È incredibile, ma tale analogia non solo esiste, ma è anche così evidente ed evidente, che ci porta alla conclusione molto interessante.
La dialettica della geopolitica consiste nella lotta dinamica di Mare e Terra. Il mare, la civiltà del mare è l’incarnazione della mobilità permanente, del “flutto”, della mancanza di centri fissi. Gli unici veri confini del mare sono le masse continentali lungo i suoi bordi, cioè qualcosa di opposto al mare stesso. La Terra, la civiltà della Terra, al contrario, è l’incarnazione della costanza, della fissità, del “conservatorismo”. I confini della Terra possono essere rigidi e definiti, naturali, su vari luoghi della Terra stessa. E solo la civiltà della Terra dà buone basi per i sistemi di valori fissi sacri, giuridici, etici.
La Terra (l’Oriente) è gerarchia. Il Mare (l’Occidente) è caos. La Terra (Oriente) è ordine. Il Mare (Occidente) è dissoluzione. La Terra (Oriente) è un principio maschile. Il Mare (Ovest) è il femminile. La Terra (Oriente) è la Tradizione. Il Mare (Ovest) è la contemporaneità. E così via. Questi due soggetti della storia geopolitica hanno una propensione all’espressione più piena e distinta, a partire dal complicato sistema multipolare di contraddizioni (molto spesso conciliabili e parziali) fino allo schema globale dei blocchi.
Il Mare e la Terra hanno raggiunto la scala planetaria solo nel XX secolo, e soprattutto nella sua seconda metà, quando si sono finalmente formati i contorni del modello bipolare. Il Mare ha trovato la sua espressione finale negli Stati Uniti e nella NATO, la Terra si è incarnata nel conglomerato dei paesi socialisti – l’Organizzazione del Trattato di Varsavia (WTO). La divisione tecnologica del pianeta in due campi, ognuno dei quali era la forma più pura della civiltà geopolitica pare rappresentativa, è avvenuta. La civiltà del mare si è spostata nel corso della storia verso gli USA e l’Atlantismo. Anche se questa via non era affatto diretta. La civiltà della Terra si è incarnata nella forma più completa nell’URSS. L’Atlantico e l’Eurasia erano strategicamente integrati, e le tendenze geopolitiche nascoste, brillantemente riconosciute da Macinder nella base della logica storica degli spazi terrestri, raggiunsero la grande scala, la prova superiore della “guerra fredda”.
Ma al culmine della storia geopolitica del XX secolo si è verificata la svolta geopolitica, che per un certo tempo ha confuso la chiara logica della geopolitica come scienza. L’emergere del blocco strategico separato negli anni 20-30 in Europa – i paesi dell’Asse – divenne il più grande ostacolo, che fermò il divenire organico della civiltà terrestre come un soggetto geopolitico di valore, ponendo le basi della futura sconfitta.
I paesi dell’Asse cercarono di rivendicare la loro indipendenza e autarchia geopolitica, avendo rifiutato tutti i fatti e le raccomandazioni delle scuole scientifiche. Il fascismo europeo era, dal punto di vista geopolitico, l’ostacolo alla naturale espansione eurasiatica dei sovietici verso l’Occidente, ma rifiutava anche l’obbediente messa in vita della pura strategia atlantista.
Tale ambiguità ostacolò seriamente la cristallizzazione del quadro bipolare mondiale, portò le guerre e i conflitti intercontinentali, che ostacolarono fortemente la tendenza, in modo che il soggetto continentale terrestre eurasiatico si realizzasse e creasse una propria strategia geopolitica coerente.
Il fascismo europeo portava l’irresponsabile e fallimentare in senso geopolitico illusione degli interessi comuni di mare (Ovest) e di terra (Est), di fronte a qualche terzo soggetto, che dal punto di vista della dottrina geopolitica non poteva non essere la finzione, perché non possedeva una scala geopolitica, geografica, storica e di civiltà sufficiente. L’Europa (fascista o no) ha solo due opportunità geopolitiche: o essere l’avamposto occidentale dell’Oriente (come era, per esempio, nell’impero ortodosso di Roma prima della scissione del cristianesimo), o essere la zona costiera strategica sotto il controllo del mare, in opposizione alle masse continentali dell’Eurasia. La strategia dei paesi dell’Asse non era né questo né quello. La futura sconfitta della Germania era evidente già allora, quando iniziò la guerra su due fronti. Tale innaturale impresa losca non era solo suicida per la Germania (su larga scala, l’Europa), ma poneva anche l’indeterminata, incompiuta base geopolitica per l’intero continente eurasiatico, che alla fine portò tutta la civiltà terrestre alla distruzione e alla disgregazione.
Quest’ultimo suggerimento si basa sulla brillante analisi della rottura dell’URSS e dell’organizzazione del trattato di Varsavia, fatta da Jean Tiriar 20 anni prima che diventasse realtà. Tiriar ha dimostrato che, dal punto di vista geopolitico, lo spazio strategico, controllato dai paesi del campo socialista, non è finito e non può sopportare il lungo confronto con l’Occidente. Secondo lui, la ragione principale era il problema dell’Europa divisa, che dava tutti i vantaggi alla potenza d’oltremare a scapito dell’URSS. Tiriar pensava che per risolvere quel difficile problema, lasciato all’Eurasia dalla politica suicida di Hitler, era necessario o conquistare l’Europa occidentale e includere i suoi paesi nel campo socialista, o, al contrario, insistere sul ritiro delle basi strategiche e delle truppe dell’URSS con il parallelo scioglimento della NATO e la rimozione di tutte le basi strategiche americane. Questo porterebbe alla creazione di uno spazio neutrale in Europa, che assicurerebbe la possibilità per Mosca di concentrarsi completamente sulla direzione sud e dare la battaglia decisiva agli USA in Afghanistan, in Estremo e Medio Oriente.
Ma la civiltà del mare studiò le teorie geopolitiche di Macinder e Mahan nel modo più attento, non solo collimando la sua strategia con esse, ma anche comprendendo tutta la gravità della minaccia, proveniente dalla progressiva integrazione continentale eurasiatica sotto la protezione dei sovietici e prese tutte le misure possibili per non permettere questa integrazione. E di nuovo, come nel caso della lotta laburista-capitalista, non agirono solo le forze storiche oggettive, ma si osservò anche l’intervento attivo diretto di un fattore soggettivo – gli agenti di influenza dell’Occidente fecero del loro meglio per non permettere la realizzazione del “Blocco Continentale”, il patto di Berlino – Mosca – Tokyo, il cui progetto fu avanzato dall’importante geopolitico tedesco Karl Haushofer. Insieme allo sviluppo delle ricerche geopolitiche il Mare ottenne il logico ed efficace apparato intellettuale e concettuale per agire nel corso della storia in modo non solo inerziale, ma consapevole.
La fine del blocco sovietico, lo smembramento e la disintegrazione dell’URSS significa in termini geopolitici la vittoria del Mare sulla Terra, della Talassocrazia sulla Tellurocrazia, dell’Occidente sull’Oriente. E ancora, come nel caso della parità Lavoro-Capitale, vediamo nella storia del XX secolo la distinzione teleologica di due soggetti geopolitici molto importanti, prima non manifestati, ma questa volta si tratta di Mare e Terra, vediamo il loro duello planetario e la vittoria finale di Mare, Ovest.
Se confrontiamo il caso della riduzione economica con il modello di spiegazione della storia geopolitica, il parallelismo evidente arresta immediatamente la nostra attenzione, il parallelismo che si rileva in tutte le fasi di entrambi gli aspetti della storia. Sembra che una stessa traiettoria si ripeta su livelli diversi e paralleli, non associati direttamente tra loro. Perciò si suggerisce la seguente analogia:
Destino del Lavoro = Destino della Terra, Est.
Destino del Capitale = Destino del Mare, Ovest.
Il Lavoro è fisso, il Capitale è liquido. Il Lavoro Est è la creazione di valori, l’ascesa (“l’Est” significa letteralmente in russo antico “ascesa”), il Capitale Ovest è lo sfruttamento, l’alienazione la caduta della cosa (“Ovest” significa letteralmente in russo “caduta”).
La civiltà del mare è la civiltà del liberalismo. La civiltà della Terra è la civiltà del socialismo.
Eurasia, Terra, Oriente, socialismo è la sequenza sinonima. Atlantismo, Mare, Occidente, Capitale, liberalismo, mercato è la stessa sequenza sinonima. Il confronto tra l’economia politica e la geopolitica ci mostra un quadro concettuale non comunemente armonioso.
“Fine della storia” in termini geopolitici significa “fine della terra”, “fine dell’est”. Non ricorda forse il simbolismo evangelico del Diluvio, il Deluge?
Parte 4 di 7