La metafisica della nostra battaglia

Nel mentre che combattiamo, dobbiamo porci una domanda: qual è l’orizzonte metafisico della nostra battaglia? Non basta confutare e rigetta la postmodernità e ciò che essa ha portato, non è sufficiente sguainare spade contro il transumanesimo e il biopotere, a poco serve blaterare di eresie e diabolicità: questi elementi devono essere fondati su un qualcosa di più essenziale.
La nostra azione di guerrieri al varco della Nuova Era non è temporanea e contingente, ma è un atto fondativo, che va a coinvolgere molteplici piani ontologici parte dell’Uno e che conducono, tutti quanti, al centro del mondo e della missione che ci è affidata. Rappresentiamo il centro fra l’asse verticale del metafisico e l’asse orizzontale dello storico, in un alternarsi di aperture verso l’alto e verso il basso, morte e rinascita costante del pensiero e dell’azione. Siamo un singolo puntino, senza il quale il piano dell’Essere non sarebbe lo stesso. Siamo epifania di una soggettività radicale, disvelamento di una attività socio-politica, al medesimo tempo apertura e chiusura, sopra e sotto della nostra lotta, idea e attività, singolarità e collettività.

In questo senso si declina la lotta eurasiatista, per dirla con le parole del prof. Aleksandr Dugin. Ciò che rappresentiamo è molto più di quel che crediamo di essere. Pochi ci comprendono perché incarniamo un Logos che è diverso da quelli precedentemente manifestatisi nel dispiegarsi storico dell’enteticità politica dei popoli, siamo degli eretici perché rifiutiamo la narrazione ideologica della realtà ma siamo più ortodossi dei puristi stessi perché ne comprendiamo radicalmente il cuore. Riusciamo a vedere una luce dentro alle tenebre, anzi ad essere noi quella luce che non sconfigge ma annulla l’oscurità perché diluisce la dualità di un mondo in evoluzione, ove progresso e regresso, avanguardia e retroguardia, destra e sinistra non sono altro che categorie di un giudizio le cui coordinate sono in divenire. Siamo l’eterno (αἰών) che entra nel tempo (χρόνος), perché rompiamo la sincronicità di una battaglia apparente per dare spazio alla perenneità di una pace trascendente.
Nello sfidare la visione del mondo, sfidiamo l’esistenza stessa dell’umanità.

Siamo radicali rivoluzionatori dell’antropologia dogmatica, siamo contemporaneamente silenti trasmigratori di anime in un mondo di assopiti dinamici, rifiutando ogni definizione assiomatica perché canali di una nuova verità la cui rivelazione è ancora in atto, mentre attraversiamo la pre-futurità come protagonisti e non spettatori, gettati nell’esistenza fino a farci consumare da essa in un fuoco che trasmuta l’uomo vecchio in uomo nuovo, in interiore homine. Siamo una mistica aurora mentre ancora splende il Sole di Mezzanotte. Siamo simbolo ed ossimoro, Tradizione e superamento, oltreuomini della nuova cultura, cosmonauti che tracciano nuove rotte su carte ancora inesplorate, siamo Apollo e Dioniso che aprono la strada a Cibele per una nuova rinascita, gli apostoli del Cristo portatori della buona novella.
Non vi è un solo gesto della nostra battaglia, un singolo istante o una minima parte che non sia impregnata di potenza metafisica e che non sia una catarsi di essa. Ecco perché la nostra è una battaglia sacra ed epocale, che non può appartenere ad altri se non che a noi che la abbiamo bramata e conquistata come il più grande dei tesori ed ora la portiamo come vessillo davanti allo specchio del nostro Sé che si proietta verso una nuova dimensione ed irradia orizzonti di una vita ancora sconosciuta, della quale percepiamo solo un’emozione: vita.