Il paradigma della Fine [3/7]

Il paradigma della Fine [3/7]

Come è avvenuto nella vita reale?

In primo luogo, la prima mancanza di corrispondenza all’ortodossia marxista è avvenuta al momento della Grande rivoluzione socialista d’ottobre. Questo evento è diventato il punto di svolta chiave della storia post-marxista. Da un lato, la rivolta dei marxisti-bolscevichi ha dimostrato il fatto che le idee marxiste sono vere e confermate dalla pratica reale. Il partito proletario comunista operaio è stato capace di fare la Rivoluzione, rovesciare il sistema degli sfruttatori, distruggere il potere del Capitale e della classe borghese, costruire lo Stato socialista, basandosi sulle principali tesi di Marx stesso. Il marxismo fu proclamato l’ideologia dominante di quello stato. In altre parole, l’esperienza russa diede la prima conferma della giustezza e dell’efficacia della dottrina rivoluzionaria marxista. Tuttavia, il fatto della Rivoluzione russa è la circostanza più importante qui – la rivoluzione proletaria di successo è avvenuta non là e non allora, dove e quando Marx stesso aveva previsto. L’errore spaziale e temporale non era un fattore quantitativo, ma qualitativo. Perciò questo errore aveva un enorme significato dottrinale.

Marx supponeva che il divenire finale del proletariato come classe e il suo formarsi nel partito rivoluzionario dovesse avvenire nel paese più sviluppato dell’Occidente industriale, cioè esattamente dove i meccanismi borghesi raggiungevano il loro più perfetto stato di sviluppo, e il proletariato industriale costituisce il dominante sociale di tutte le forze produttive. Marx pensava che le rivoluzioni proletarie provocheranno immediatamente la reazione a catena negli altri stati e società. Marx era sicuro che negli altri punti spaziali e temporali le rivoluzioni socialiste non possono avvenire, perché entrambi i soggetti storici – Lavoro e Capitale – non hanno ancora raggiunto lo stadio in cui è possibile la piena e adeguata transizione del materiale nell’ideale, del soggettivo nel cosciente, del massimo stadio di sviluppo della base nella forma adeguata della sovrastruttura. L’esperienza russa ha mostrato il fatto che la rivoluzione socialista si è rivelata possibile e ha proceduto con successo nel paese con un capitalismo sottosviluppato, molto prima del pieno raggiungimento della seconda fase della rivoluzione industriale, nel paese con una quota molto insignificante del proletariato industriale, e dopo la vittoria dei bolscevichi i processi rivoluzionari non si sono diffusi affatto in Europa, ma sono rimasti entro i confini dell’ex impero russo. Il Lavoro si è formato nel partito politico e ha vinto il Capitale in condizioni completamente diverse da quelle previste da Marx.

In altre parole, la Rivoluzione storica in Russia ha corretto la teoria del padre spirituale. Il senso di questa correzione storica si coglie al massimo grado nella ricerca del fenomeno del nazional-bolscevismo, analizzato in dettaglio da Mikhail Agurskiy. La rivoluzione proletaria in Russia ha dimostrato il fatto che la vittoria del lavoro sul capitale è possibile e reale solo a condizione che nell’esecuzione di questo atto politico ed economico intervengano alcune dimensioni supplementari – il nazional-messianismo (assolutamente sviluppato nei russi e negli ebrei dell’Europa orientale), le tendenze mistiche e settarie chiliastiche (sia della gente comune che degli intellettuali), lo stile blanquista, ordinato e cospiratorio del partito rivoluzionario (leninismo, poi stalinismo). Tra l’altro, l’analogo insieme di approcci, anche se meno radicale, assicurò la vittoria di qualche altra forza anticapitalista, che fu in grado di realizzare in pratica la rivoluzione quasi-socialista – il fascismo italiano e il nazional-socialismo tedesco. In altre parole, il marxismo risultò essere quello storicamente praticabile nella rappresentazione eterodossa, nazional-bolscevica, un po’ diversa dal concetto rigoroso di Marx stesso.

Si realizzò solo in combinazione con altri fattori e, più precisamente, dove la dottrina politica ed economica di Marx fu combinata con tendenze culturali e religiose che erano abbastanza dissimili dal discorso culturale e storico (suggerimenti) dello stesso autore del “Capitale”. In contrasto con il successo della realizzazione storica del marxismo nella rappresentazione nazional-bolscevica, la transizione al socialismo non ha avuto luogo nello stesso Occidente borghese nel momento in cui il capitalismo ha raggiunto il suo limite di sviluppo, cioè la soglia della terza rivoluzione industriale (e questo è successo negli anni 60-70 del XX secolo). Mentre la versione eterodossa del marxismo si è rivelata praticabile, la versione ortodossa è stata confutata dalla storia. Il capitalismo nella sua forma più sviluppata si è rivelato capace di superare la fase di sviluppo più pericolosa per esso, di gestire efficacemente la minaccia della ribellione proletaria e di passare a un livello di esistenza ancora più perfetto, quando il soggetto alternativo opposto, il proletariato, è stato abolito, disperso, vaporizzato come classe e il partito rivoluzionario escatologico del lavoro nel complicato sistema di non aver avuto alcuna alternativa Società dello Spettacolo (Guy Debor). In altre parole, la società post-industriale, essendo diventata la realtà, ha mostrato definitivamente che le profezie di Marx letteralmente comprese non sono state messe in vita. Questa, tra l’altro, è la ragione della grande crisi del marxismo europeo moderno.

Ma sappiamo anche oggi della triste fine dello stato socialista, che si è autoliquidato come risultato di processi esclusivamente interni, avendo portato il sistema nazional-bolscevico sull’orlo fatale della perestroika borghese. E 40 anni prima caddero anche gli altri regimi non capitalisti d’Europa – l’Italia fascista e la Germania nazionalsocialista. Così, alla fine del ventesimo secolo il Capitale ha vinto il Lavoro in tutte le sue manifestazioni ideologiche – sia il marxismo ortodosso (sotto forma di socialdemocrazia europea), la versione nazional-bolscevica dei soviet o tipi di varianti molto approssimativi, compromessi e dubbi dei regimi europei della cosiddetta “terza via”.

La vittoria del Capitale sul Lavoro mostra inoltre il maggior grado di coscienza proprio di quel polo storico, che è in grado di mantenere l’adesione a lungo termine e coerente al suo obiettivo primario, che è preparato a trarre conclusioni dai modelli concettuali dei suoi nemici storici studiando e ammettendo in pratica i metodi e i paradigmi, rivelati dal genio rivoluzionario, ai fini della prevenzione.

Dopo Marx il campo laburista su scala politica ed economica globale era diviso in tre campi ideologici meno disarmonici e in conflitto tra loro – il socialismo sovietico (nazional-bolscevismo), la socialdemocrazia occidentale e (con riserve) il fascismo. Il campo capitalista rimase nella sua essenza indivisibile e sfruttò abilmente le contraddizioni delle ideologie laburiste. Così, invece del partito comunista rivoluzionario proletario unito, in primo luogo, le organizzazioni bolsceviche filo-sovietiche e radicali che sostengono il Comintern, il che significa che erano associate a Mosca, come capitale della Terza Internazionale, e mettevano in atto la sua volontà, in secondo luogo, i partiti socialdemocratici aborigeni, che lottano per l’autorità nei circoli proletari con le forze pro-Mosca, e in terzo luogo i movimenti nazional-socialisti, che applicano l’esperienza nazional-bolscevica di Mosca (ma in una variante molto più rilassata) al proprio contesto nazionale, formatosi nell’Occidente borghese nel momento critico della storia.

La strategia del capitale consiste nel fatto che le tre tendenze di espressione ideologica delle forze del lavoro erano in ogni modo opposte l’una all’altra, nel sottrarsi a qualsiasi prezzo al loro consolidamento in un organismo storico sociale e politico unito. A tal fine la socialdemocrazia e il bolscevismo si opponevano al fascismo, il fascismo stesso alla socialdemocrazia e al bolscevismo. La fase di maggior successo di quella strategia “fronte del popolo” della Francia nell’epoca di Leon Blum e delle relazioni alleate tra URSS e Inghilterra con gli USA durante la guerra contro i paesi dell’Asse.

D’altra parte, i socialdemocratici occidentali (in quanto non aderenti all’ortodossia marxista nazional-bolscevica) furono attivamente trascinati nel collaborazionismo politico con l’establishment borghese dalla rappresentanza parlamentare, furono corrotti dalla collaborazione con il Sistema e si opposero contemporaneamente agli “agenti di Mosca” dei partiti bolscevichi leninisti (la politica di Karl Kautskiy è la più significativa in questo senso).

E, infine, nei quadri dello stesso Stato sovietico non c’era la coerente e completa formazione dottrinale del nazional-bolscevismo nell’ideologia realizzata e non contraddittoria, in cui si mettevano i puntini sulle “i” e le crocette sulle “t” e si fissavano le correlazioni rigorose nell’approccio all’eredità di Marx (cosa si doveva accettare, cosa si doveva rifiutare). Invece di questa correzione, le ideologie sovietiche hanno continuato a insistere che il leninismo è solo il marxismo adeguato e ortodosso, negando qui l’evidente e perdendo irrevocabilmente la possibilità di una riflessione non contraddittoria e coerente, cognitivamente adeguata.

Invece del quadro chiaro e semplice dell’opposizione Lavoro e Capitale nella forma del sistema socialista sovietico, da un lato, e dei paesi dell’Occidente capitalista, dall’altro, è emerso il mosaico separato, in cui la questione estremamente negativa era il fatto stesso dell’esistenza di regimi fascisti di compromesso (dal punto di vista politico ed economico) e della socialdemocrazia collaborazionista conciliante. Quella componente intermedia fascista e socialdemocratica ostacolava il processo di formazione del partito comunista proletario internazionale unito, che avrebbe dovuto tenere conto di tutta l’esperienza ideologica e spirituale della Rivoluzione Russa.

Questo era il fattore esterno. Il fattore interno consisteva nella rinuncia dello stesso sistema sovietico a trarre dal proprio successo le più importanti conclusioni ideologiche (con tutta la necessaria correzione delle concezioni culturali e filosofiche di Marx), che avrebbero potuto a loro volta facilitare il dialogo produttivo con il fascismo – soprattutto nella sua versione di estrema sinistra. E infine, la stessa socialdemocrazia occidentale avrebbe potuto, invece del patto antifascista “frontale del popolo” con le forze e i regimi borghesi radicali, giungere a una comprensione reciproca con i socialisti di orientamento nazionale all’interno del blocco unito antiborghese.

Il bolscevismo sovietico, la socialdemocrazia europea e persino il fascismo come anticapitalisti nella loro essenza erano destinati a concordare una piattaforma ideologica unitaria, a metà strada tra l’evidente sopravvalutazione di Marx da parte degli aderenti ortodossi e la sua evidente sottovalutazione da parte del fascismo. Tale ipotetica ideologia, elevata al nazional-marxismo assoluto e universale, tenendo conto della considerazione di altri punti culturali e filosofici, spirituali e nazionali insieme al paradigma storico geniale assolutamente giusto di Marx; i riflessi realizzati e applicati del nazional-bolscevismo ideale avrebbero potuto essere proprio quella piattaforma sociale ed economica efficace, in cui il principio laburista poteva incarnarsi nella forma più perfetta. Ma si è visto evidentemente purtroppo solo un posteriore, quando si può riassumere e analizzare la grande esperienza della catastrofe storica. Il capitale come soggetto si è rivelato non solo più potente, ma anche più intelligente del lavoro come soggetto. Non ha permesso che il “fantasma del comunismo” si realizzasse pienamente nella storia, condannandolo a rimanere tale più avanti. È una tragica constatazione. Ma dal punto di vista epistemologico, dal punto di vista della generazione di un significativo paradigma storico, che ci permetterebbe di realizzare chiaramente in quale momento della storia ci troviamo ora, è difficile sottovalutare questa conclusione.

Parte 3 di 7

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